Indagando i tormenti e i dubbi di Giuditta

Mercoledì 21 settembre alle ore 20.30 nella chiesa di San Francesco Saverio a Trento debutta nell’ambito di “MusicAntica” l’oratorio in tre quarti “Juditha dubitans”. L’opera si ispira all’episodio biblico di Giuditta e Oloferne: la città di Betulia, assediata dagli assiri capeggiati da Oloferne, braccio destro di Naducodonosor, viene liberata da Giuditta. L’evento risolutivo di questa vicenda è la decapitazione di Oloferne da parte di Giuditta. In “Juditha dubitans” la storia non viene narrata in modo lineare, in uno sviluppo in cui il punto culminante coincida con l’evento cruento che tanta fortuna ha avuto nelle arti figurative. La decapitazione non è mai ‘rappresentata’ – sarebbe impossibile in un oratorio, per tradizione privo di azione scenica e recitazione –, mentre l’attenzione si concentra sempre sulle motivazioni che spingono Giuditta ad agire e soprattutto sui dubbi che la turbano e che derivano dalle sue azioni.

Suddivisa in tre quadri, questa composizione drammaturgico-musicale commenta la vicenda da tre punti di vista differenti. A questo scopo ai tre personaggi cantanti è stato aggiunto un commentatore. Ma, soprattutto, solo Giuditta è interpretata sempre dalla stessa voce di mezzosoprano, mentre Oloferne è interpretato nel primo quadro dal controtenore, nel secondo e nel terzo dal baritono. A sua volta la voce di controtenore assume ben tre ruoli diversi: Oloferne nel primo quadro, la voce ombra nel secondo (sorta di alter ego di Giuditta), la nutrice nel terzo.

Ciascun quadro allude a un diverso modello drammaturgico-musicale del passato, assumendone alcuni tratti morfologici. Nel primo quadro il modello è l’opera tardo-barocca. Ciascuno dei due personaggi principali è caratterizzato da un’aria del repertorio settecentesco: Oloferne da un’aria di caccia tratta dal Giulio Cesare in Egitto (1724) di Georg Friedrich Händel, Giuditta da un’aria ‘ipnotica’ tratta dal secondo oratorio (detto ‘di Cambridge’, 1697) dedicato da Alessandro Scarlatti all’eroina biblica.

Nel secondo quadro il modello morfologico è costituito dalla continuità drammaturgico-musicale dell’opera tedesca tardo-ottocentesca. Si passa senza soluzione di continuità da una sezione all’altra, mantenendo sempre teso l’arco drammatico attraverso dialoghi, interventi del coro, elaborazioni di musica del passato fino all’apoteosi finale: una sorta di grande concertato realizzato dal monumentale corale «Wo soll ich fliehen hin?» dell’omonima cantata di Johann Sebastian Bach. In questo quadro vengono sviluppati principalmente i risvolti psicologici dei dubbi di Giuditta, che prima dispera, poi incita il popolo.

Il terzo quadro allude alle convenzioni drammaturgiche dell’opera italiana del primo Ottocento. In una ballata popolare in cui una fanciulla sedotta decapita il suo seduttore, Oloferne si prende gioco di questa leggenda; esprime dapprima il compiacimento per i propri presunti successi amorosi, poi il rammarico di non poter più godere dell’amore di Giuditta. La consapevolezza e la disperazione della perdita lo inducono ad accettare il proprio destino. L’unità formale complessiva è garantita dal ritorno ciclico di alcune figure musicali, la più importante delle quali è l’immagine sonora del muro, che apre l’oratorio, ricompare dopo la metà del secondo quadro (dopo i tre quesiti di Giuditta) e conclude la composizione. All’inizio il muro difende (la città di Betulia), poi divide (Giuditta e Oloferne, ma anche due popoli per scontro di idee, di culture, di religione), poi ricostituisce uno status quo: ci saranno altri muri, altri assedi, altri tradimenti, altri conflitti fra desideri individuali e dovere.

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