Macchè diritti!

Abacuc 1,2-3; 2,2-4;

2Timoteo 1,6-8.13-14;

Luce 17,5-10

Un granellino di senape è così piccolo che è quasi necessaria la lente per vederlo. “Aumenta la nostra fede!” chiesero gli apostoli a Gesù. Avrebbe potuto rispondere: “Quanta ne volete?”. No, si è limitato a dire: “Se aveste fede quanto un granellino di senape, potreste dire a un albero: spòstati! Ed esso si sposterebbe…”. Non c’è alcun dubbio del resto: un grammo d’oro vale più d’un quintale di ferro. La fede non si misura a peso, o a metri… E’ come l’amore. “Quanto bene mi vuoi?” chiede la mamma al suo bambino; “Tanto così” risponde lui allargando le braccia: cosa vuol dire? Ti voglio un metro di bene? Macchè… L’amore si misura con il criterio dell’intensità: come il fuoco, come la luce; può essere un fuoco che langue e muore oppure che arde e divampa; e la luce può essere quella del crepuscolo oppure del mezzogiorno; c’è una bella differenza. Intensità e qualità insomma. È così che si misura la Fede nel Signore. Se è vera, se è viva, è come quel grammo d’oro che vale infinitamente più di un quintale di ferro. Ma forse, e ancor prima, dobbiamo capire meglio cosa vuol dire “fede nel Signore”. “Io sono credente”: che significa? Che condivido l’opinione secondo cui ci deve pur essere Qualcuno sopra di noi? No, non è questo il credere in Dio. Ha a che vedere piuttosto con la convinzione di un bambino che afferma: “Io voglio bene al mio papà, alla mia mamma”, o con quella di due sposi che dicono: “Io amo mia moglie… mio marito”; che significa: “Ci fidiamo uno dell’altro… ci parliamo ogni giorno… prendiamo di comune accordo le nostre decisioni… trascorriamo insieme tutto il tempo che possiamo…”. (Tant’è vero che anche l’anello che portano al dito si chiama precisamente così: fede). Fede in Gesù Cristo è qualcosa di totalmente simile: è parlare con lui tutti i giorni, ascoltarlo quando a parlare è lui, incontrarlo ogni volta che ci è possibile, fidarsi di lui soprattutto. Ah, allora sì che la fede potrebbe spostare anche gli alberi! (In ogni caso, non provateci: potreste incorrere in qualche contravvenzione). Quando ci raccontano di santi che facevano cose prodigiose, miracoli come si suol dire, in parte potrà essere pia leggenda, ma in parte no, perché quando ci si lega a Gesù come alla persona più cara tra tutte, la sua forza passa nella nostra vita, e allora sì: non c’è nulla d’impossibile che resista a quella forza. Ma come si può avere una fede così?

Nella prima lettura della prossima domenica, il profeta confessa che a volte è difficile, faticoso credere nel Signore. “Perché, Signore, ti prego e tu non ascolti? Perché grido e tu non intervieni?”. Sì, effettivamente, certe volte è faticoso credere, fidarsi del Signore. (Ma, scusate: forse che tra marito e moglie va sempre tutto liscio? Forse che tra genitori e figli non ci sono mai difficoltà, momenti in cui si fa fatica a capirsi?). E come è possibile credere lo stesso nel Signore anche quando è faticoso o sembra sordo alle nostre preghiere? Come si fa ad avere quella fede grande – cioè piccola come un granellino di senape – ma vera, forte, esplosiva? Gesù ce ne rivela il segreto nel Vangelo. Ci racconta la parabola del servo che, dopo aver lavorato in campagna tutto il giorno, la sera torna a casa stanco e si sente dire dal padrone: “Su, su: rimboccati le maniche e preparami da mangiare! Non sei servo? E io non sono forse il tuo padrone?”. Oh, sia chiaro: questo padrone non è Dio, il Padre nostro, e nemmeno Gesù Cristo. (Lui, anche se è il Signore, è venuto in mezzo a noi come un servo, non come un padrone). Ma la conclusione della parabola sì che ci riguarda: “Quando avrete fatto quello che vi è stato ordinato, non alzate la cresta! Dite piuttosto: Siamo sempre servi, soltanto servi” (“inutili” hanno aggiunto i traduttori, ma hanno tradito, anziché tradotto, le parole di Gesù): no, nessuno è inutile; il termine evangelico indica esattamente l’individuo che non ha alcun diritto a ricompensa o salario. Ed è qui il messaggio che ci riguarda. Sì, perché certuni (anche tra noi cristiani) pensano di aver diritto a tutto… Bambini e ragazzi che sanno dire soltanto “voglio!” Quanto a noi adulti poi! Quanti diritti pensiamo di poter accampare davanti a Dio! “La salute? Un diritto: la voglio a ogni costo. E se per caso mi ammalo e finisco all’ospedale, mi arrabbio con Dio…La vita? Altro diritto ancora; e che sia lunga, bella e comoda …”. Ecco cosa vuol dire far da padroni invece che da servi. Ma ci accorgiamo di quanto siamo ridicoli? Chi ci autorizza ad avere questa mentalità padronale? Cosa aspettiamo ad accorgerci che tutto invece è dono? Dono la vita ogni mattina, dono la salute, dono le persone care che abbiamo accanto… E dei doni non si ha alcun diritto, perché altrimenti non sono più doni (se diventano proprietà, è il momento che si sciupano, si rovinano). Macchè diritti! L’unico diritto che abbiamo è quello di aprire le mani ogni giorno per ricevere tutto come dono da Dio. Pertanto, anzichè lamentarti con lui il giorno in cui cadi malato, comincia a dirgli grazie ogni giorno che ti ritrovi sano; e grazie per le persone che hai accanto, oltre che per le tante cose che non ti mancano. E insegniamo anche ai bambini, ai ragazzi, ai giovani, a crescere non con la coscienza dei padroni, che conoscono solo l’erba “voglio” e pensano di aver diritto a tutto, ma con la coscienza di chi sa che tutto, proprio tutto, è dono. Allora sì che la fede sarà vera e viva. Piccola, forse, come un granellino di senape, ma potente e forte di tutta la forza di Dio.

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