“Mare fuori”, un racconto corale tra violenza e speranza

Mare fuori” è un fenomeno televisivo e lo sarà a lungo. La terza stagione è in onda su RaiDue, ma già da inizio del mese è tutta su RaiPlay. La quarta stagione era già stata confermata e la showrunner Cristiana Farina ha dichiarato che la Rai produrrà almeno anche quinta e sesta. La fiction – le cui prime due stagioni andarono in onda su RaiDue nel 2020 – è letteralmente divenuta cult dopo che Netflix ne ha acquisito i diritti streaming e pochi giorni fa il regista Silvestrini ha potuto dichiarare che per la terza stagione su RaiPlay vi sono state circa 12 milioni di visualizzazioni, per un totale di 5,7 milioni di ore viste. Una platea composta per il 45% dagli under 25. Complessivamente le tre stagioni integralmente disponibili su piattaforma hanno raggiunto il record di 54 milioni di visualizzazioni e quasi 23 milioni di ore di fruizione.

Questi numeri da capogiro fanno comprendere come la serie – seppur con un percorso “carsico”, che non depone molto a favore della lungimiranza dell’emittente pubblica – abbia bucato l’indifferenza che ormai da tempo contraddistingue il pubblico, in particolare quello giovanile, nei confronti della fiction nostrana.

Il titolo è evocativo: per i reclusi nell’Istituto di pena minorile di Napoli (ispirato all’IPM di Nisida) ci dev’essere una seconda possibilità, come quel mare oltre le sbarre. Fuori, però, c’è anche il male commesso e gli esempi spesso deleteri degli adulti. È indispensabile una crescita interiore, la consapevolezza delle cause delle ferite e degli errori, l’assunzione di responsabilità per preparare un futuro altrimenti segnato.

Il racconto è corale, i crudi flashback sui reati commessi ci presentano i detenuti (fra essi Nicolas Maupas, Valentina Romani e Massimiliano Caiazzo). E poi c’è la direttrice (Carolina Crescentini) che vede nel rispetto delle regole la chiave di ogni riscatto e il comandante del carcere (Carmine Recano) e gli educatori per i quali alla disciplina va aggiunta la fiducia che per questi giovani possa esserci una rinascita. Recitata in napoletano (spesso con sottotitoli) la serie è esplicita nella violenza verbale, fisica e psicologica, in una realistica e drammatica rappresentazione sempre sul sottile confine dell’eccesso per provocare emozioni molto forti. Omicidi, vendette, stupri e tossicodipendenza fuori dal carcere; sopraffazione e legge del branco dietro le sbarre, ma anche pentimento, amicizia, amore e il desiderio di una vita migliore. Sempre in bilico fra i germi di speranza e il dilagare tragico della violenza, nella serie la morte non ha la parola definitiva ed è evidente la volontà di recupero delle istituzioni per “salvare” almeno uno solo.

C’è il desiderio di dissuadere dalla delinquenza rappresentata, ma la serie richiede comunque qualche cautela per la visione in famiglia. “Mare fuori” può essere catartico per chi già vive situazioni di disagio profondo, ma può risultare anche molto dirompente per chi non sperimenti personalmente problematiche così inquietanti.

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