Pubblico o privato, questione di maturità

Riemerge il classico dilemma fra i compiti propri del sistema pubblico e gli spazi da lasciare invece all’iniziativa privata e al Terzo Settore

Dal 3 al 6 giugno Trento ospita la 16a edizione del Festival dell’economia, mettendo a tema «Il ritorno dello Stato». L’invasività delle regole anti contagio e l’auspicata fine della pandemia offrono l’occasione – scrive Tito Boeri, responsabile scientifico del Festival – «per ridisegnare i confini dello Stato, rafforzare la sua presenza dove ce n’è maggiore necessità progettandone la ritirata altrove». Riemerge dunque il classico dilemma fra i compiti propri del sistema pubblico e gli spazi da lasciare invece all’iniziativa privata e al Terzo Settore.

Per l’autonomia trentina i tentativi di ridurre la presenza pubblica sono espressi da varie norme provinciali, talune di valore anche simbolico. Secondo una modifica introdotta nel 2002 nella legge sulla programmazione (L.P. 4/1996) «il programma di sviluppo favorisce l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività d’interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà». Lo stesso principio, con identiche parole, è ribadito dalla riforma istituzionale (L.P. 3/2006). Quest’ultima, più volte modificata nel solco della normativa nazionale, disciplina con minuzia la costituzione di nuovi enti pubblici e la partecipazione della Provincia in fondazioni, associazioni o società di capitali, in un’ottica restrittiva. Di riflesso si incoraggia il ricorso al mercato «facilitando in particolare la partecipazione delle microimprese, delle piccole e delle medie imprese agli affidamenti di contratti pubblici» (L.P. 2/2016). Queste norme, tuttora vigenti, sono dunque orientate a una pur cauta contrazione dell’apparato pubblico, che può peraltro avvenire in molteplici forme, con effetti ben diversi sul ruolo del privato.

La pubblica amministrazione può infatti agire in quattro modi: a) «fare», producendo direttamente beni e servizi; b) «imporre», regolando l’attività privata; c) «incoraggiare», agevolando le iniziative imprenditoriali; d) «stimolare», orientando l’economia con la domanda pubblica e con azioni culturali. Dei primi due modi si è abusato. Sicché l’espansione dei servizi pubblici e delle imprese di Stato, che caratterizzò epoche passate, pur ancora invocata (vedi sanità e Ilva) appare insostenibile oltre l’attuale livello. Così pure il sistema di leggi, regole e controlli,
benché indispensabili contro sciagure, truffe ed evasione fiscale, ha prodotto un’intollerabile asfissia burocratica.

Pertanto si ripongono oggi molte aspettative sulle azioni di tipo indiretto e di contesto, volte a suscitare il protagonismo del corpo sociale. È il caso degli investimenti nelle infrastrutture e nei saperi, del sostegno alle varie specie di imprenditorialità, dell’impulso all’innovazione che l’ente pubblico può esercitare anche acquistando beni e servizi evoluti o attraverso politiche simboliche (es.: giornata mondiale dell’ambiente).

Come lo stile direzionale deve adeguarsi alla maturità del gruppo a cui è rivolto, così la pubblica amministrazione, in prospettiva, dovrebbe preoccuparsi sempre meno di «fare» e di «imporre» e sempre più di «incoraggiare» e di «stimolare»; dovrebbe cioè applicare in modo sempre più esteso il principio di sussidiarietà, sospingendo e aiutando le imprese, il settore no-profit e i consumatori, tutti auspicabilmente più maturi, ad agire nel modo più consono all’interesse collettivo. Questo sarebbe un bel «ritorno dello Stato». Fantasioso? Un po’ sì, ma non troppo. Sentiremo che cosa ci dirà al riguardo il Festival.

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