Ricchezze oneste e ricchezze disoneste

Amos 8,4-7;

1 Timoteo 2,1-8;

Luca 16,1-13

Quando un papà o una mamma ripetono sempre la stessa raccomandazione ai loro figli, vuol dire che è importante, che sta loro molto a cuore, oppure che i figli sono un po’ testardi e stentano a impararla. È per questo che si sentono rispondere: “Uffa! Sempre la stessa predica!”. Penso che anche tra chi partecipa all’Eucaristia in queste Domeniche potrebbe scattare la stessa reazione: “Eh, ma insomma, è sempre la stessa predica!”. Di che si tratta? Secondo l’evangelista Luca, a Gesù stava molto a cuore che i suoi discepoli non prendessero certe cantonate troppo grosse. Per esempio quella di pensare che si possano amare i soldi, le ricchezze, le comodità, e nello stesso tempo anche Dio… Eh, no: o l’uno o l’altro. “Nessun servitore può servire due padroni”… Ma se uno è bravo e ce la fa, perché non può? Ogni tanto si ha notizia di qualcuno che timbra regolarmente il cartellino ogni mattina, ma poi se ne torna a dormire, oppure svolge qualche altro lavoro in proprio. In tal modo riceve e lo stipendio dall’azienda e il sovrappiù da qualcun altro. Questo sì che è servire due padroni. Ma è comportarsi da disonesti e anche da stupidi, perché il giorno che si è scoperti, ci si ritrova sul lastrico.

No, nessuno può servire due padroni. E anche se a questo mondo qualcuno lo fa, voi non potete servire Dio e anche la ricchezza. E perché no? Tra i molti idoli ben noti nell’antico Medio Oriente vi era anche quello della ricchezza: ”Mammòna” si chiamava. Un dio diabolico a dir poco: se gli dai la mano, ti prende il braccio, poi il cervello e il cuore e tutta la persona. E tu sei schiavo. Legato piedi e mani e cuore con catene – magari d’oro – ma pur sempre catene. Gesù Cristo sa che questo è un pericolo per tutti, sempre. Ecco perché, nel suo vangelo, torna spesso sull’argomento. Sta tanto a cuore al Signore, che non si fa riguardo ad adoperare addirittura “cattivi esempi” per farcelo capire, come nella parabola di questa Domenica, nella quale entra in scena l’amministratore disonesto di un ricco signore, astuto e scaltro nel sottrargli soldi e roba e quant’altro senza che se n’accorga. Ma arriva il giorno in cui si scoprono le carte, e allora lo chiama a rapporto e lo licenzia. A quel punto l’amministratore si trova sul lastrico, senza lavoro. Che fare? Lui che ha sempre lavorato in camicia bianca e cravatta, mica può mettersi a lavorare di zappa e badile! Ma è scaltro, cioè intelligente (ci sono disonesti stupidi e disonesti intelligenti). Ci aveva già pensato prima. Sapeva di clienti che erano indebitati con il suo padrone. Li chiama e manomette le carte: “Qui c’era scritto che devi 100; noi invece scriviamo 50…” e così di seguito con tutti i debitori. Non certo gratis lo fa! Loro, un domani, quando si troverà licenziato, lo dovranno aiutare contraccambiando. Insomma: mette le mani avanti, con molta scaltrezza. Tanto che perfino il padrone lo riconosce. Gesù afferma espressamente: “il padrone lodò quell’amministratore disonesto perché aveva agito con scaltrezza”. Con questo vuol forse esortare alla scaltrezza disonesta? No di certo: la disonestà esula dal suo orizzonte, ma la scaltrezza è altra cosa: può essere adoperata sia nel male che nel bene. E noi, proprio come cristiani, dobbiamo imparare a essere scaltri nel bene: “I figli di questo mondo – afferma il Signore – sono più scaltri dei figli della luce!”. Lo constata con un tono d’amarezza, come se dicesse: perché lasciate che siano intelligenti e scaltri soltanto i ladri, i trafficanti di droga, i commercianti di armi, i responsabili delle multinazionali e gli operatori dell’alta finanza?

Cosa intende più concretamente Gesù? Di quale scaltrezza parla? Tirando le conclusioni da quella storia dell’amministratore disonesto, dice: “Anche voi: fatevi degli amici con la disonesta ricchezza, perché quando verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne…”.

Disonesta ricchezza sono i nostri beni, le nostre eccessive comodità, quando viviamo solo o anzitutto per noi stessi. Disonesta ricchezza sono le nostre doti – quando le sfruttiamo solo a nostro esclusivo vantaggio. Disonesta ricchezza è anche il nostro tempo a disposizione – se lo adoperiamo solo per i nostri affari o i nostri hobbies. No, non è iniquo il danaro, il guadagno, il tempo libero e il piacere di trascorrerlo serenamente; è l’egoismo che rende tutto questo disonesto, è la presunzione che tutto questo sia di nostra esclusiva proprietà, quando invece tutto abbiamo ricevuto da Dio come dono. A partire dalla vita e dalla salute che ogni mattina ci consente di alzarci dal letto e di cominciare di nuovo. Tutto è onesto e buono, se adoperato come dono da condividere con chi non l’ha avuto. Tutto invece è iniquo e disonesto, se usato solo per il nostro personale piacere o interesse. Insomma, più che spenderci per arricchirci, noi cristiani dobbiamo imparare a spenderci per consumarci: per amore. Ecco la scaltrezza di cui parla Gesù: lui per primo si è comportato così; se ci ha dato questo esempio è perché è così che si realizza la vita; anzi, è solo così che si gode veramente la vita. Pertanto sì, cerchiamo di usare scaltrezza nel nostro modo di essere cristiani: quelle ricchezze oneste che Dio ci ha donato (e non sono poche!) non rendiamole disoneste adoperandole solo per noi stessi.

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