Siate furbi: assicuratevi

I lettura: Esodo 3,1-8a.13-15;

II lettura: 1Corinzi 10,1-6.10.12;

Vangelo: Luca 13,1-9

Terremoti, tornadi, cicloni, eventi catastrofici più o meno naturali, non sono mai mancati. Le informazioni tempestive da parte dei mass media ce ne tengono costantemente informati, favorendo l’impressione che accadano con una certa frequenza. Qualcuno si chiede: “Non saranno per caso i segni premonitori di una fine del mondo?”. Altri, in buona fede, si domandano: cosa avrà mai fatto quella povera gente per meritarsi una sorte del genere? Non pochi portano l’interrogativo direttamente sul terreno religioso: perché Dio permette sciagure come queste?

Sono domande che non trovano risposte, spesso non hanno spiegazioni plausibili. Pertanto – se pure comprensibili – tutto sommato sono domande inutili. In tempi di emergenza le domande inutili sono anche sbagliate perché sviano l’attenzione dalle cause reali: e intanto il pericolo si fa incombente e continua a mietere vittime. L’esempio che mi viene spontaneo è quello di quei tali che vanno in montagna e camminano su sentieri impervi, o addirittura sull’orlo di qualche precipizio… Ogni tanto qualcuno piomba nel vuoto: una disgrazia. Chi lo viene a sapere commenta: “Poveretto! Che brutta fine! Vedete com’è pericoloso andare in montagna?!”. Sì, ma è una reazione scomposta, sbagliata. Si dovrebbe concludere piuttosto: “Beh, visto che il pericolo di cadere nel vuoto è reale, cerchiamo di evitarlo: se c’è un cordino di ferro, un appiglio lungo il sentiero, afferriamolo… Non comportiamoci da incoscienti”. Ebbene, questo è un ragionamento che occorre portare anche – anzi, soprattutto – nella vita.

Al tempo di Gesù, in Palestina dominava l’impero romano. La gente non vedeva affatto con simpatia i soldati di Roma che scorrazzavano per quelle contrade; alcuni del popolo si erano trasformati in partigiani. In occasione delle grandi feste, che a Gerusalemme radunavano folle di pellegrini, quei partigiani vi si intrufolavano nel tentativo di trarli dalla loro parte. Il procuratore Ponzio Pilato aveva il suo bel da fare a controllare la situazione. Un giorno scoprì che là sulla grande spianata del tempio c’erano alcuni rivoltosi che tentavano di sobillare il popolo: li fece arrestare e uccidere davanti a tutti. La cosa fece un’enorme impressione. “Hai sentito cos’ha fatto Pilato? Cosa ne pensi tu, Gesù?” chiesero alcuni al Signore. Gesù rispose: “Penso che quei tali che Pilato ha fatto uccidere non erano affatto peggiori di voi, ma se non vi convertite – se non afferrate la mano che Dio vi porge – finirete male tutti quanti”. Era anche accaduto che una vecchia torre era crollata improvvisamente proprio in quei giorni, travolgendo 18 persone. “Pensate che fossero peggiori di voi quei poveri disgraziati? – chiede Gesù. – No, affatto, ma se non vi convertite, perirete tutti indistintamente!”. Insomma, Gesù Cristo mette in guardia dal fare come lo struzzo, che quando viene il pericolo, mette la testa sotto la sabbia per non vederlo. Eh, non sono poche le persone che condividono questa logica; quando sentono, ad esempio, di quella coppia di conoscenti che si è separata e ha disfatto la famiglia, oppure di quel ragazzo che si è lasciato coinvolgere nel giro della droga, commentano: “Beh, speriamo che non succeda a noi!”. Ma limitarsi a tale conclusione, senza far nulla perché non succeda davvero, è infinitamente troppo poco: non serve a niente. Ciò che serve è rendersi conto che è da stupidi vivere con superficialità, continuare a rincorrere valori e interessi che da un momento all’altro possono crollare: la vita val la pena fondarla su qualcosa – o su Qualcuno – che sia più forte di tutte le malattie, più potente delle valanghe e di tutti gli tsunami. In altre parole, i fatti di cronaca – per noi cristiani – sono campanelli d’allarme che possono risvegliarci alla responsabilità. Devono farci rizzare gli orecchi: dove stiamo andando? Verso quali traguardi? Se ci sono eventualità negative che – pur facendo tutti gli scongiuri – non possiamo evitare (malattie, incidenti, disgrazie e quant’altro), ve n’è tuttavia una alla quale possiamo senz’altro sfuggire, ed è la più grave, la più tremenda: la nostra perdizione definitiva, la rovina della nostra persona per sempre. Eh, questo sarebbe il peggio che ci possa capitare. In questa domenica Gesù ce lo ricorda con estrema chiarezza: “Se non vi convertite, perirete tutti…”. Discorso pessimista questo? No, il fatto è che il Signore – al quale stiamo molto a cuore – ci vuole responsabili e svegli. Persone che imparano dai fatti, dalle esperienze della vita, e accettano di rivedere le loro logiche, la loro condotta. Perché se invece non si impara niente e non si cambia nulla, allora si è come quell’albero di fichi (di cui parla la parabola evangelica di questa domenica): tante cure da parte del contadino, tanto lavoro, ma frutti… niente; solo foglie. A che serve un albero da frutto, se fa solo foglie? Perché deve sfruttare il terreno? È la vita che Dio ci dà quel terreno: quante occasioni abbiamo nella vita, quante opportunità di cambiare noi stessi in meglio. Le sappiamo cogliere? oppure continuiamo a fare foglie anziché frutti? Ciononostante, quel contadino ha ancora fiducia e chiede tempo al padrone del campo: “Lascialo ancora un po’: lo curerò ancora… chissà che non porti frutto finalmente!”. Siamo noi quell’albero: ciascuno di noi. E la fiduciosa pazienza di quel contadino è riflesso della misericordia di Dio, nostro Padre.

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