Terra tra i monti

Secondo le teorie dei “confini naturali” le montagne sono il confine per antonomasia

Uno dei nomi del Tirolo prima che si chiamasse Tirolo è “Terra tra i monti”. L’altro nome è “Terra all’Adige”. Con questo si è già detto tutto rispetto alle coordinate in base alle quali gli abitanti di questa regione si sono misurati nel corso dei secoli. Il monte e il fiume rappresentano la dimensione verticale e quella orizzontale e come tali assumono un valore altamente simbolico da declinare nel tempo e nello spazio a seconda del contesto culturale.

Secondo le teorie dei “confini naturali”, che cent’anni fa giustificarono la scelta dello spartiacque alpino come nuova frontiera tra il Regno d’Italia uscito dal Risorgimento e ciò che restava del vecchio impero asburgico, le montagne sono il confine per antonomasia. Il Trattato di Londra, in base al quale l’Italia si imbarcò nella Grande Guerra, all’art. 4 prometteva al regno italico, conflitto concluso, e vinto, “il Trentino, il Tirolo cisalpino con la sua frontiera geografica e naturale, il Brennero”.

All’ideologia brennerista si opponevano i cosiddetti “salornisti” che consideravano la chiusa di Salorno a sua volta come un confine naturale nonché linguistico. Ora la storia di questa terra insegna che né il Brennero né Salorno furono mai una frontiera invalicabile e impermeabile. Il Brennero (o Resia o Dobbiaco/San Candido) non è un muro ma una porta e la valle dell’Adige al di qua o al di là di Salorno è la stessa identica valle che corre da Nord verso Sud (o sale da Sud verso Nord). Il Brennero non è mai stato in grado di arginare la diffusione delle lingue e così neppure la chiusa di Salorno. Nel corso della storia a volte fu più agevole varcare le catene alpine che non il fiume e ancora oggi in alcuni tratti la destra e la sinistra dell’Adige mostrano un’antropizzazione con caratteristiche diverse frutto della difficoltà di comunicare tra le due sponde.

I nostri antenati sapevano che con la montagna non si scherza. L’ascensione delle cime è un fenomeno relativamente recente. Ma i valichi furono sempre praticati come vie normali. E lungo il corso dell’Adige era preferibile vivere sulla costa o, come si diceva appunto, sulla montagna, piuttosto che nel fondovalle acquitrinoso e malsano, bonificato solo a partire dal 18° secolo. La montagna, se rispettata, dava sicurezza.

I nostri progenitori dell’era preistorica salivano sui monti per comunicare con Dio. La montagna come luogo di incontro con la divinità la troviamo in tutte le tradizioni. È il luogo di comunicazione, anzi delle comunicazioni importanti di Dio per l’uomo. Lo fu per Mosè all’epoca delle tavole della legge, lo fu per i discepoli di Gesù che assistettero al discorso della nuova Legge, riportato al capitolo quinto del Vangelo di Matteo. Sulle nostre cime l’uomo accendeva fuochi (roghi votivi), e li accende tutt’ora, allestiva edifici di culto che via via, nel Medioevo, furono sostituiti da piccole chiese o da santuari.

La montagna non è qualcosa che impedisce la comunicazione. Se fisicamente è un ostacolo (ma è sempre molto di più), esso può essere superato, aggirato. Prendiamo le Dolomiti. Rappresentano un taglio fra Trentino e Alto Adige o non sono piuttosto un meraviglioso trait d’union? Sono uno scomodo intruso o non sono forse l’orgoglio di quelle valli e di tutta la regione, persino patrimonio dell’umanità? Sono un limite invalicabile o non sono piuttosto, anche sul piano linguistico, un elemento di conservazione di un passato capace di interfacciarsi col presente, un luogo nel tempo, del tempo e senza tempo, un punto d’accesso, ma non facile né scontato, insomma il confine nella sua essenza più profonda?

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