Tutto gratis? Non è esatto: paghiamo con i nostri dati

Nulla è gratis, anche quando ci sono servizi che non si pagano. Perché, anche se nessun pagamento ci viene chiesto, ciò non vuol dire che siamo di fronte ad un atto di generosità. Semplicemente, l’azienda in questione cercherà di guadagnarci in qualche altro modo.

Nel mondo digitale, il prezzo che noi paghiamo senza accorgerci è molto alto: in cambio del servizio (apparentemente gratuito) noi forniamo i nostri dati, lasciamo che vengano studiati i nostri gusti, le nostre preferenze, ciò che ci piace e ciò che non ci aggrada, il nostro modo di pensare, la nostra fede, persino le nostre scelte politiche. Ciò che non diremmo nemmeno ad un amico, lo regaliamo invece a società che apparentemente ci regalano un servizio, ma fanno i soldi con i nostri profili personali.

Ogni giorno, utilizziamo WhatsApp per mandare messaggi, per ricevere foto, per condividere video, per fare videochiamate ed effettuare telefonate all’estero senza pagare neanche un centesimo. Ogni volta che non sappiamo una cosa o ci viene un dubbio, andiamo su Google e cerchiamo ciò che ci interessa. Al punto che “googlare” è una parola che è già entrata nel dizionario Treccani: “fare una ricerca attraverso la rete telematica”. E anche Google è gratis, non si paga niente.

Così come nulla si paga per utilizzare gli altri prodotti di famiglia Alphabet: Gmail, Maps, YouTube. Gratuito è anche l’uso dei social, Facebook e Instagram, per rimanere ai più diffusi. Gratuito è anche TikTok. E pure Twitter che da qualche mese ha cambiato nome: ora si chiama “X”, lettera e simbolo del suo nuovo proprietario, Elon Musk.

Servizi gratuiti, ma che assicurano, a chi li fornisce, guadagni stratosferici. Non è un caso che proprio le “Big Tech”, le grandi società del settore tecnologico, di fatto dominino le classifiche delle aziende più ricche al mondo. “Forbes”, la rivista americana specializzata nel compilare le classifiche nel campo economico e finanziario, lo scorso mese di settembre ha stabilito che solo Saudi Aramco (il colosso di Stato dell’Arabia Saudita) riesce a rompere il monopolio delle società legate ad internet nelle prime cinque posizioni delle società con la più alta capitalizzazione di mercato.

A guidare la classifica, con 2.960 miliardi di dollari, troviamo Apple, la società fondata nel 1976 da Steve Jobs e che ha cambiato il mondo con i suoi pc, gli iPad, gli smartphone. Al secondo posto troviamo Microsoft: la società fondata nel 1975 da Bill Gates e Paul Allen presenta una capitalizzazione di mercato di 2.478 miliardi di dollari. A rompere il monopolio delle Big Tech, al terzo posto troviamo, per l’appunto, la saudita Saudi Aramco (2.200 miliardi di dollari) seguita però al quarto posto da Alphabet, la società di Google (1.716 miliardi di dollari) e, al quinto posto, Amazon che vanta una capitalizzazione di mercato di 1.416 miliardi di dollari.

Non è finita, perché – sempre per parlare del mondo dell’innovazione – al settimo posto troviamo Tesla (814 miliardi di dollari), società fondata nel 2003, specializzata nel campo dele automobili elettriche e dei pannelli fotovoltaici e che ha Elon Musk tra i fondatori (e attuale Amministratore delegato). Al nono posto, c’è Meta, con soli – si fa per dire – 772 miliardi di dollari. A Meta (che ha preso questo nome nel 2022 per evidenziare la scelta di Zuckerberg di scommettere sul “metaverso”) fanno capo le applicazioni più diffuse a livello mondiale: da WhatsApp e Facebook, da Instagram a Messenger.

Questa classifica evidenzia il ruolo ormai dominante dell’innovazione tecnologica non solo nella nostra vita, ma anche nel mondo economico e finanziario. Ed è evidente – e preoccupante – il meccanismo di monopolio che caratterizza questo comparto dove poche persone controllano il mercato e il mondo. Compreso il meccanismo della profilazione: definire, cioè, il profilo dei propri utenti per promuovere pubblicità sempre più mirate. Ne siamo tutti consapevoli: se cerchiamo qualcosa su internet, sappiamo che saremo sommersi di avvisi pubblicitari inerenti proprio al settore della nostra ricerca.

Nei giorni scorsi l’Europa, attraverso il Comitato europeo per la protezione dei dati (Edpb), ha adottato una decisione “urgente e vincolante” per vietare a Meta di utilizzare i dati personali degli utenti per indirizzare annunci pubblicitari. Finalmente, si potrebbe dire. Ma è già arrivata la contromossa delle società di Zuckerberg: lanciare in Europa una versione a pagamento delle proprie piattaforme “senza profilazione”: 9,99 euro al mese su computer, 12.99 euro al mese su smartphone.

Certo, si potrà continuare ad avere il servizio gratis, ma in cambio si dovranno accettare gli annunci pubblicitari personalizzati. Come succede adesso. Almeno saremo consapevoli di quanto valgono i nostri dati che concediamo a Meta: 10 euro al mese se usiamo il Pc, 13 se usiamo lo smartphone.

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