Un pigiama troppo largo (o troppo stretto?)

La prima cosa che colpisce è la straordinaria eterogeneità del cast: Antonio Cornacchione, il mai dimenticato alter ego ironico di Silvio Berlusconi, Laura Curino, una delle attrici più affermate del teatro di parola e di impegno civile, Max Pisu, il “Tarcisio dell’oratorio”.

Pigiama per sei”, che è programmato in provincia il 15 febbraio a Riva del Garda, il 16 a Mori e il 17 a Mezzolombardo, presenta il più classico dei triangoli: lui, lei, l’altra. Che diventa un rombo, nel momento in cui si scopre che il vecchio amico, invitato dal marito per fungere da alibi durante l’incontro clandestino con l’amante, è a sua volta l’amante della moglie. Ma la figura diventa un poligono complesso, allorché la cameriera mandata da un’agenzia, complice il destino beffardo che vuole che porti lo stesso nome, viene scambiata per l’amante del marito dall’amico, ma è costretta a interpretare il ruolo di amante di quest’ultimo agli occhi della moglie, che è ovviamente gelosa, ma non può svelarsi finché… Finché ognuno è costretto a interpretare un ruolo diverso a seconda di quali siano le persone presenti nella stanza, in un crescendo turbinante di equivoci e risate. “Pigiama per sei” è il tipico meccanismo perfetto.

Un testo in cui lo spettatore si appassiona, immedesimandosi involontariamente, per capire come i vari personaggi riusciranno a trovare soluzioni a situazioni che diventano via via più intricate, fino allo scioglimento dovuto all’arrivo di un ulteriormente inaspettato (e pericoloso) deus ex machina. Il lavoro di Marc Camoletti, come dicevamo, si impreziosisce per la diversa vis comica che i tre protagonisti riescono a giocare. Antonio Cornacchione e Max Pisu condividono una storia comune: entrambi diventati comici ‘per acclamazione popolare’, negli ultimi anni stanno consolidandosi come attori di prosa. Per Laura Curino si tratta invece di una consacrazione nel campo del comico, dopo importanti lavori, ricordiamo tra tutti “Olivetti” che l’ha vista protagonista assoluta del teatro civile.

A dirigerli Marco Rampoldi, che da molti anni ha concentrato il proprio lavoro su percorsi in cui sfruttare la naturale forza comunicativa di chi ha frequentato il cabaret, convogliandola in strutture articolate e precise (in questo caso nel rigore di un meccanismo ad orologeria). Uno spettacolo lieve, veloce, divertente, che non rinuncia però a fare uno spaccato impietoso della vacuità che caratterizzava i rapporti personali nel pieno degli anni ’80 in cui il testo è nato, e che non è migliorata ai nostri giorni.

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