Un tuffo nel “canale”, nuova frontiera dell’informazione

I loro nomi, Jan Koum e Brian Acton, non ci dicono nulla. Quindici anni fa erano due sconosciuti ingegneri informatici americani che contavano una lunga collaborazione con Yahoo, ma di fatto erano senza lavoro. Jan Koum, di origine ucraina, aveva cercato anche una collaborazione con il gruppo Facebook, ma Zuckerberg non lo aveva assunto; Brian Acton, nato in Michigan e cresciuto in Florida, era uno dei tanti programmatori impegnati nel mondo dell’innovazione. A loro si deve lo strumento che oggi mette in contatto tra loro oltre due miliardi di persone: WhatsApp, l’applicazione di messaggistica mobile che qualche giorno fa, il 24 febbraio, ha compiuto 15 anni.

Nel 2009, Jan Koum e Brian Acton decisero di cercare un modo per comunicare senza dover utilizzare gli sms, strumento che si era diffuso a partire dagli Anni Novanta e che presentava parecchi limiti. In primo luogo, gli sms non erano gratis: si dovevano pagare. E via sms si potevano mandare solo dei messaggi. Mandare una foto (via “MMS”) era complicato e molto costoso. Ecco allora l’idea di sfruttare le nuove tecnologie (gli smartphone cominciavano a diffondersi rapidamente, dopo l’invenzione dell’IPhone nel 2007) e di scommettere su una messaggistica via web e non più attraverso la tradizionale linea telefonica. Inutile sottolineare che Whatsapp – denominazione che mette insieme due termini inglesi: “Whats up” (“che cosa succede”) e App (Applicazione) – ebbe in pochi anni un enorme successo (gli sms, pur giovani, sono praticamente finiti nel cimitero della tecnologia) al punto che nel 2014 la star up di Koum e Acton venne acquistata da Mark Zuckerberg per 19 miliardi di dollari.

Oggi WhatsApp non viene utilizzato solo per mandare i messaggi scritti. Si condividono foto e video. Si mandano messaggi vocali e si possono fare telefonate in ogni parte del mondo senza spendere un centesimo. Negli ultimi anni, soprattutto dopo il periodo del Covid e dei lockdown, si è diffusa anche la pratica delle video chiamate: persone anziane, che mai avrebbero accettato di provare tecnologie futuristiche, hanno scoperto e apprezzato le opportunità di potersi mettere in contatto – vocale e visivo – con persone distanti, talvolta molto lontane.

WhatsApp in questo caso ha annullato le distanze, ha avvicinato le persone. In qualche caso, però, le ha anche allontanate, ha creato dei solchi. Le chat di gruppo, infatti, sono un formidabile strumento per comunicare. Si usano in famiglia, sul lavoro, tra amici. Diventano però luogo di isteria collettiva quando ciascuno scrive ciò che vuole, senza il rispetto dei tempi altrui (si mandano messaggi anche in piena notte), quando l’uso delle parole scorre in maniera superficiale, quando ciascuno pretende di poter arrivare ad una conclusione e gli altri si sentono spiazzati o non considerati. Le chat dei genitori sono diventate sinonimo di novella babele dove ognuno scrive (magari messaggi chilometrici), ciascuno risponde (magari fuori contesto) e c’è sempre qualcuno che alza l’asticella delle incomprensioni. L’assenza di regole (ci sarebbe davvero bisogno di un galateo per l’uso delle chat) e la mancanza, spesso, di buon senso, fanno il resto: amicizie rovinate, conflittualità dilaganti, aggressività che forse in un dialogo “di persona” non emergerebbero (in quella misura) perché, quando ci si guarda negli occhi, si cerca quantomeno di rispettare la buona educazione.

Si usa lo strumento, ma ci si dimentica spesso delle sue conseguenze: le parole scritte rimangono e hanno pure la possibilità di essere diffuse. Scrivo a te, ma io non posso sapere a chi tu farai avere il mio scritto. I continui “inoltro” (non solo delle parole, ma anche degli audio, delle foto, dei video) cancellano ogni regola della confidenza.

Whatsapp è diventato anche social. La pubblicazione di immagini, scritti, fotografie e video nel proprio “stato”, è un modo di raccontare a tutti il nostro pensiero, ma anche il nostro stato d’animo, le nostre scelte, i nostri affetti, i nostri problemi. Lo “Stato” ha la caratteristica di rimanere visibile solo per 24 ore e questo avvalora l’idea che tutto rimarrà provvisorio. Con gli screenshot (la fotografia dello schermo) tutto però diventa “documento senza tempo”, pronto per essere inoltrato o conservato.

Infine, la nuova opportunità che WhatsApp ha mutuato da Telegram e che consente di inviare messaggi attraverso un “Canale”. Chi è interessato a questi messaggi, può accedere senza dover fornire il proprio numero di telefono. Uno strumento molto utile per chi – amministrazioni comunali, scuole, parrocchie, associazioni – vuole offrire la possibilità di venir seguiti anche senza avere il numero telefonico delle persone a cui si intende rivolgere.

Il “canale” è anche lo strumento che ormai tutti i quotidiani hanno scelto per fornire in tempo reale le notizie su WhatsApp.

Ancora una nuova frontiera per l’informazione.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina