Vite parallele

“Mia madre”, l'ultimo film di Nanni Moretti

Sua mamma morì quando Nanni Moretti stava montando Habemus Papam, film a dir poco profetico, riletto a posteriori. La scomparsa segnò il regista romano al punto da volerla ora raccontare in Mia madre, da pochi giorni sugli schermi. Un film, il suo dodicesimo, nel quale Moretti, spronato da un evento-passaggio cruciale come la perdita di un genitore, si mette allo specchio e compie un'operazione di autoanalisi complessa e visionaria. Sceglie di rappresentarsi indirettamente nella protagonista, la regista Margherita, alle prese con un doppio binario, professionale ed esistenziale: da un lato la tormentata realizzazione di un film che racconta di lotte operaie, maestranze e nuovi padroni prodotti dalla globalizzazione; in parallelo, l'inadeguatezza nell'accettare il lento spegnersi della madre Ada, insegnante di latino e greco in pensione.

Accanto a Margherita c'è un fratello, Giovanni (Nanni Moretti), ingegnere in aspettativa ma ansioso di un congedo definitivo dal lavoro, concentrato più di lei nella cura dell'anziana madre e un po' coscienza critica della sorella; una figlia adolescente, l'ex marito e un nuovo ma già ex-compagno. Oltre al corredo di attori e staff tecnico, anima della non facile (e non nuova) operazione del film-nel-film. Moretti adotta l'espediente per mettere alla berlina il mondo del cinema (il suo per primo) e quella congenita sospensione tra verità e finzione (non sembra casuale che l'attrice protagonista, Margherita Buy mantenga lo stesso nome nel film), tra l'ambizione di una realtà da documentare e la presunzione di volerla condizionare.

Ne è prova la continua insicurezza della regista, originata in verità dalla fragilità delle relazioni affettive, al punto da sbottare con la troupe disorientata: "Il regista è uno stronzo a cui voi permettete di fare tutto!". Ma imbarazzante è anche il recitare dell'attore protagonista del suo film (John Turturro), sedicente star che al culmine della frustrazione invoca di poter tornare alla realtà.

L'incertezza di Margherita è l'emblema dell'assenza di punti di riferimento a più livelli, sociali e famigliari (indimenticabile la scena della ragazzina che impara ad andare in motorino ruotando attorno ai due genitori ondivaghi), dove chi rischia di perdere il lavoro si batte per mantenerlo e chi ce l'ha (Giovanni) ne farebbe volentieri a meno.

Inevitabilmente incerto è anche l'incedere della spaesata madre Ada (l'incisiva Giulia Lazzarini), nella sua graduale perdita di lucidità, tranne che nella materia insegnata per una vita e ora trasferita alla nipote: “Non fermarti al primo significato che trovi sul vocabolario” la rincuora poco prima di morire, quasi a voler stigmatizzare la semplificazione dilagante. Moretti sembra volerle rispondere regalandole un film coraggioso, sferzante anzitutto con se stesso, ma colpevole, forse, di troppa insistenza nell'alternare il principale piano narrativo con l'incubo/immaginazione dei personaggi e del regista stesso, finendo col complicare in modo esponenziale una struttura già composita.

Resta un dubbio: che destino avranno i libri della mamma, emblema di cultura classica e razionalità? Finiranno davvero, come mostra Moretti, dentro gli scatoloni di una casa ormai svuotata? Ma anche una certezza: il ricordo affettuoso degli ex-allievi di Ada e il suo pensiero rivolto al futuro quando Margherita le chiede “A cosa pensi mamma?”. “A domani”.

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