Cristiani e politica… con la P maiuscola

I cristiani devono appoggiare la democrazia in quanto tale

Nel recente incontro con l’Azione Cattolica papa Francesco ha sostenuto: “Mettetevi in politica, ma per favore nella grande politica, nella politica con la maiuscola!”. Leggo in questa sollecitazione l’urgenza di essere presenti nella società, di dare il proprio contributo fattivo in termini di partecipazione e cura del bene comune da parte di cittadini formati e preparati. Come vedi il ruolo della chiesa di oggi, quella di papa Francesco, rispetto a questa urgenza?

Francesca

Da qualche decennio è abitudine di tutti i pontefici invitare i fedeli all’impegno politico e alla partecipazione attiva alla vita pubblica. Questo avviene con maggiore frequenza in questi ultimi tempi, da quando la rarefazione della presenza di “uomini di buona volontà” e di partiti “di ispirazione cattolica” si è fatta via via più evidente almeno nei paesi occidentali. Dato che papa Francesco si è rivolto all’Azione Cattolica ci focalizziamo soltanto sulla situazione italiana.

Credo che per commentare questo appello sia opportuno allontanarci dalla cronaca per ampliare lo sguardo. Non possiamo dimenticare che non sono passati neppure cento anni dall’abrogazione formale del “non expedit” cioè della “non convenienza” che un cattolico partecipasse alla vita politica (un’esortazione papale seguita alla nascita del regno d’Italia e la conseguente provvisoria fine del potere temporale della Chiesa). I cattolici non potevano sostenere uno Stato laico dalle forti venature anticlericali.

Tuttavia la stessa democrazia non è stata sostenuta nel suo sorgere. Anzi. I regimi democratici si sono sovente imposti lottando contro le istituzioni ecclesiali. Il diritto di voto universale aperto alle donne, la libertà di coscienza della persona (e quindi la libertà religiosa), la tutela delle minoranze, la stessa affermazione che sia il popolo a decidere da chi essere governato, sono state istanze a lungo osteggiate dalla Chiesa.

Da questo punto di vista il Concilio Vaticano II ha segnato uno spartiacque: la democrazia diventa il miglior sistema (o il meno imperfetto) per garantire la possibilità per i cristiani di professare la propria fede e per la Chiesa istituzione di continuare ad esistere svolgendo la propria missione. Chiaramente la fede cattolica non abbraccia in maniera definitiva questo o quel sistema politico o filosofico: esisterà sempre uno scarto tra il Regno di Dio e la città degli uomini. Il secolo scorso però insegna come regimi alternativi a quelli democratici abbiano calpestato qualsiasi valore minimo di umanità, finendo per volersi imporre anche sulla religione.

Oggi la Chiesa universale – che nel frattempo ha fatto molta strada verso il rigetto quasi assoluto della violenza e della guerra come strumenti validi anche per il sostegno della fede – difende la libertà religiosa in tutto il mondo, nella consapevolezza che la religione vive dentro sistemi tolleranti e aperti: altrimenti diviene un’imposizione della maggioranza o del più forte, oppure una coercizione.

Dopo il Concilio dunque la Chiesa sta “scommettendo” sulla democrazia. Francesco poi nella linea dei suoi predecessori insiste sulla necessità che il cattolico si occupi della cosa pubblica, impostando il suo impegno non solo sui minimi requisiti richiesti (onestà, spirito di servizio), ma anche cercando di sostenere la visione complessiva esposta dalla dottrina sociale della Chiesa.

Penso però che Francesco non voglia fare un discorso di parte. Il partito unico dei cattolici in Italia è finito da 25 anni- una generazione. Ma si può dire che la spinta propulsiva della DC si è fermata molto prima, probabilmente dall’omicidio di Aldo Moro. I tentativi successivi – ad opera di cardinali più che di pontefici – di intromettersi nei meccanismi spesso di bassa lega della politica italiana non hanno giovato al mondo cattolico.

Ora credo che l’impegno richiesto dal Papa, quella politica con la P maiuscola, significhi che i cristiani debbano appoggiare la democrazia in quanto tale. La democrazia, lungi dall’essere meramente un sistema procedurale di norme e di istituzioni, è una visione del mondo, uno stile di vita consona con un orizzonte di fede. Almeno sulla carta la democrazia (come quella italiana) cerca un progresso complessivo della società, sostiene chi è in difficoltà, accoglie chi fugge da guerra e povertà, si impegna per la tutela della pace a livello internazionale, si basa sul dialogo e la tolleranza nei rapporti interni e con gli altri Paesi. E questi obiettivi, se non sono coincidenti, sono almeno compatibili con la missione della Chiesa. Che, ovviamente, in quanto tale, non dovrebbe fare politica lasciando ai laici il loro ruolo insostituibile. Ma forse, anche sul terreno civile, “molta è la messe, pochi sono gli operai”. Davvero pochi si affacciano alla politica con lo spirito giusto.

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