Sior Todero Brontolon

Col venir meno della capacità di adattamento, può emergere nell’anziano un carattere più intransigente

Gentile dott. Noro, forse questa domanda sarebbe da rivolgere ad uno psicologo più che ad un geriatra. Parlando con gli anziani, molti si dicono sempre sfiduciati, risentiti, arrabbiati contro “il mondo che va per il verso storto, sempre peggio”. Come possiamo aiutarli a guardare all’oggi con maggior serenità, fiducia e anche speranza cristiana?

Lettera firmata

Attorno al 1750 Carlo Goldoni presentava la riuscitissima commedia “Sior Todero Brontolon”, imperniata sulla figura di un vecchio avaro, molto scorbutico, e che anche oggi continuiamo ad andare a vedere a teatro con piacere e divertimento. Al di fuori dell’iperbole teatrale, è un dato di fatto che la progressiva perdita di adattabilità al variare delle situazioni, in ambito familiare, affettivo e sociale possano far emergere negli anziani tratti della personalità primigenia. La personalità si struttura fin da bambini in relazione a ciò che si è geneticamente e ai modelli educativi ricevuti. Pur rimanendo ben riconoscibile nel corso della vita, è un elemento malleabile, soggetto quindi ad adattamenti in funzione delle condizioni familiari, sociali o di salute che la persona si trova ad affrontare. Col venir meno della capacità di adattamento, può emergere un carattere più intransigente, contraddistinto da alcuni tratti tipici, e che si manifesta in particolare quando si è chiamati a fare delle scelte. L’espressione di uso comune “vecchio brontolone” non è nata per caso…

Purtroppo, quando viene meno la consapevolezza, si fa fatica ad aggiustare la personalità in modo semplice e secondo quanto si vorrebbe. Certo, quando si è avanti con gli anni è più facile non sentirsi contenti della propria vita e pensare di avere meno possibilità di miglioramento o di evoluzione. Ma sfogare continuamente la mancanza di prospettiva con lamentele e insoddisfazione, peggiora la situazione, facendo apparire il vecchio “più vecchio”. Protestare rende più immobili, statici e anche più aggressivi. Nella mia esperienza ho notato spesso che l’insicurezza personale si può tramutare in egocentrismo senile (egoismo ed utilitarismo), che si esprime primariamente in scontrosità, intolleranza e petulante richiesta di aiuto. A volte questa insicurezza può sfociare in misantropia e in rifiuto dell’innovazione o delle modificazioni sociali, secondo le ben note espressioni “solo ai miei tempi si viveva bene! È tutto sbagliato!”

Dopo questa lunga premessa, non nascondo la difficoltà a trovare risposte risolutive e a dare un aiuto alla lettrice. Lo psicologo Alan Godwin suggerisce che invece di reagire allo stesso modo quando qualcuno vi parla in modo sgarbato, è meglio rispondere con una frase attentamente pensata in anticipo. Ad esempio, senza curarvi di quello che vi dice il Signor Malumore potete risolvere la situazione dicendo qualcosa del tipo “Visto che bel tempo c’è oggi?”. Modificare personalità burbere ad una certa età diventa difficile se poi si aggiunge anche qualche menomazione fisica, ambientale e mentale. Dovrebbero essere preparate, modellate in famiglia molto prima e trovare le condizioni per l’applicazione lungo la nostra vita seguendo tre brevi regole che Cesa Bianchi suggeriva per invecchiare positivamente e per non trovarsi spiazzati da nuove situazioni personali come la fine del lavoro: liberarsi dai pregiudizi, dai pensieri negativi legati ai modelli precedenti; cercare di rimettersi in gioco scoprendo gli aspetti originali e positivi delle nuove situazioni; prefiggersi obiettivi ed attività stimolanti e mete da raggiungere.

Questi suggerimenti si colgono anche in una lettera (meriterebbe la pubblicazione completa) che una paziente scriveva ad un geriatra: “Ormai rasento gli 80 anni e dovrei avere tutte le carte in regola per essere infelice. Infatti, sono del tutto sola, vedova da 14 anni dopo un matrimonio felicissimo basato soprattutto su quelle che il poeta chiamava ‘le affinità elettive’, non ho figli né nipotini da amare e da cui essere riamata, ho solo una sorella che vive a Firenze e vorrebbe trascinarmi in quel caos che era la mia città. Alle mie coetanee terrorizzate all’idea di finire in un ricovero – anche dorato – per farle ridere dico loro che quando non sarò più autosufficiente vorrei andare in un ‘asilo d’infanzia’! Ma perché pensare al futuro? Si finisce così per non vivere il presente e questo è difficile farlo accettare a tante mie coetanee che ormai vivono da morte, intristite e lamentose”.

Riporto infine tre massime di questa paziente (tratte da un suo decalogo), che suggerisce:

“Non piangere su te stesso: guarda chi sta peggio moralmente e fisicamente.

“Ora che hai più tempo libero da impegni, fermati a contemplare le meraviglie del Creato: il cielo, i fiori, gli alberi e il volto degli uomini.

“Attiva la mente con lavori creativi, con svaghi o con letture da meditare per imparare dai grandi Maestri di vita come avvicinarsi alla perfezione interiore, alla Verità, a Dio”.

Aggiungo un mio ultimo pensiero. Il vecchio soffre particolarmente quando privato del supporto di una relazione aperta e generosa, che è indispensabile per trovare uno spazio di senso. E allora l’impegno in chi assiste una persona anziana, anche brontolona, deve concentrarsi nell’esprimere la propria vicinanza affettuosa, con l’intento di togliere quel senso di solitudine che i vecchi sperimentano così pesantemente.

*gerontologo e geriatra

Scrivete a: anta@vitatrentina.it

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