“Che musica, questa lieta notizia!”

Is 40, 1-5.9-11;

Sal 84;

2Pt 3,8-14;

Mc1,1-8;

Voce, deserto e lieta notizia: queste le note della melodia che si diffonde come musica appassionata in questa seconda domenica di Avvento. All’inizio della seconda tappa del nostro pellegrinaggio verso il Natale, come viandanti nutriti dal pane della preghiera e dissetati dall’acqua della vigilanza, siamo invitati ad ascoltare una voce forte e calorosa, ad attraversare i nostri deserti e ad ascoltare la lieta notizia. Non si può non rimanere catturati dalla bellezza della liturgia della Parola di questa seconda domenica di Avvento.

I versetti centrali del salmo responsoriale, il salmo 84, così cantano: «Amore e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno. Verità germoglierà dalla terra e giustizia si affaccerà dal cielo». In essi ci pare di individuare il ritornello tematico che, arrangiato secondo modulazioni diverse, risuona nella liturgia della Parola di questa domenica. Il salmo 84, infatti, presentandosi come un’accorata supplica comunitaria arricchita da un annuncio profetico dell’avvento del Messia, si rivolge al popolo d’Israele tornato dall’esilio. Unico l’intento: riaccendere il cuore stanco del popolo incapace di sperare ancora nella presenza efficace del suo Signore. Proprio per questo, il Signore, visto nella sua infinità bontà, non desidera altro che comporre di nuovo sul pentagramma della vita del suo popolo la musica della pace, della salvezza, della gloria, della giustizia, della verità e del bene. Questo è il canto gioioso della salvezza poiché il Signore in persona non è più lontano. Questa vicinanza è così carica di affetto che il compositore del salmo per trasmetterla in tutto il suo spessore usa le immagini dell’unione coniugale («si baceranno») e della generazione («germoglierà»). L’immagine del germoglio, ben nota ai profeti biblici, profila all’orizzonte della storia d’Israele l’avvento imminente del messia salvatore. La supplica diventa profezia: Dio tornerà ad abbracciare la sua terra e nell‘abbraccio di Dio con l‘umanità nascerà una storia nuova. In quella terra noi, discepoli e discepole di Cristo, vediamo Maria, la madre di Dio, terra prediletta che con audacia ha accolto l’amore del Signore. Non solo. Anche ogni nostra vita può essere quella terra baciata da Dio nella quale germoglia «il suo bene». Ci basterebbe questo ritornello, ma nella prima lettura, tratta dal grande poema dell’esilio del profeta Isaia (capitoli 55-60), tale canto di speranza viene arrangiato sulle note di un nuovo esodo e ed il suo inizio è davvero toccante: «Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio – Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta». Ora, il popolo di Israele è chiamato fuori da Babilonia, simbolo di ogni potere politico che priva della libertà, ma anche di ogni idolatria che elimina orizzonti del senso dalla vita. Come una seconda liberazione dalla schiavitù d’Egitto, il popolo è chiamato fuori. Il Signore stesso è il primo ad uscire. O meglio, è la sua stessa parola efficace ed assordante ad entrare in gioco con nuovi scenari di liberazione e con inauditi orizzonti di speranza. Sì, la protagonista di questa pagina profetica è la parola incendiata di Dio! È la lieta notizia che squarcia i cuori ed il suo contenuto è lapidario: «Ecco il vostro Dio!». La speranza di una vita nuova è racchiusa in questa presenza certa, affidabile e fedele: il Signore viene «come un pastore» ricco di ogni premura e tenerezza. Non vi è altra ragione per mettersi in cammino! Il ritorno dunque è prima di tutto un movimento personale di conversione che vince il deserto interiore della perdita di fiducia nel Signore. Non basta credere, bisogna sperare anche l’insperato! Insieme con il Signore ed insieme con quanti sono in cammino lontani dalla loro terra «confidando in una forza che, comunque la chiamiamo, solo Dio può infondere. Non più noi o voi ma noi e voi, io e l’altro. Insieme. O ci salviamo tutti o tutti verremo travolti. È una scommessa forte. Ma ne sono sempre più convinto: ne vale la pena» (padre Alejandro Solalinde).

Ora, questa melodia di speranza, di liberazione e di cammini di conversione raggiunge la massima espressione ed efficacia nei primi versetti del vangelo secondo Marco: «Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio». Gustiamone nella profondità di noi stessi l’inaudita freschezza! Siamo raggiunti non da un semplice titolo apposto alla narrazione che sta per iniziare, ma qui vi è il compimento della profezia annunciata da Isaia e cantata nel salmo 84. Qui vi è la nuova creazione: non semplicemente la storia della vita di Gesù Cristo, ma lo stesso Gesù Cristo. La lieta notizia in carne ed ossa! Giovanni Battista ne è l’insigne interprete e la terra feconda che ha dato frutto! La vita austera ed essenziale di Giovanni Battista è il più bel commento di questa prima pagina evangelica. Ascoltare quell’«in principio» significa fare spazio, non catturare la parola, ma esserne voce, lasciarsi trasformare in profondità da essa. Solo con la vita si possono progettare «nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia». Non teorie, ma carne e sangue, ossia diventare in prima persona testimoni «che non è la stessa cosa aver conosciuto Gesù o non conoscerlo, non è la stessa cosa camminare con lui o camminare a tentoni, non è la stessa cosa poterlo ascoltare o ignorare la sua Parola, non è la stessa cosa poterlo contemplare, adorare, riposare in lui, o non poterlo fare. Non è la stessa cosa cercare di costruire il mondo con il suo Vangelo piuttosto che farlo unicamente con la propria ragione. Sappiamo bene che la vita con Gesù diventa molto più piena e che con lui è più facile trovare il senso di ogni cosa» (Evangelii Gaudium, n. 265). Buon pellegrinaggio!

a cura della Comunità monastica di Pian del Levro

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