“Dal contrasto alla luce”

Is 50,4-7;

Salmo 21 (22);

Fil 2,6-11;

Mc 14,1-15,47

La domenica delle Palme apre le porte alle celebrazioni della Settimana Santa, cuore e fulcro della nostra fede. La Croce del Signore, quale perno attorno al quale si svolge il mistero della nostra salvezza, in questo tempo contraddistinto da inquietudini, personali e sociali, ci viene incontro come realtà di luce e verità imperiture, senza le quali confessiamo di poterci trovare talvolta nello smarrimento della frammentazione e della confusione dei nostri tempi. Tutto questo però prevede la nostra conversione; siamo chiamati anche noi a salire con Gesù sul Calvario. Così l’apostolo Paolo ci esorta: «abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5) nel primo versetto (omesso) dell’antico inno cristiano da lui ripreso nella lettera ai Filippesi (seconda lettura). E prosegue poi proclamando che «Egli pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio essere come Dio, ma svuotò sé stesso facendosi servo» (Fil 2,6-7). Con la potenza rivoluzionaria racchiusa in queste parole di vita, e insieme fortificati dal nostro cammino quaresimale, mettiamoci di nuovo e fiduciosamente con il Maestro alla scuola della croce.

Il rito di questa domenica torna facilmente alla mente per la sua peculiarità: prima del consueto orario, nei nostri paesi si è soliti portarsi davanti al sagrato per scegliere un ramo d’ulivo, poco dopo benedetto dal celebrante. Con questo, dopo aver ascoltato il brano dell’ingresso messianico di Gesù nella città santa Gerusalemme (Mc11,1-10), si parteciperà alla festosa processione, prevista anche nei luoghi più angusti, almeno come passaggio dall’esterno all’interno dell’edificio sacro. É bene sapere che questo piccolo “pellegrinaggio” ha origini antichissime e pone inizio a tutte le successive processioni delle nostre liturgie. Ne abbiamo una preziosa testimonianza già verso la fine del quarto secolo, attraverso il diario della pellegrina Egeria. Giunta a Gerusalemme lei può osservare una variegata folla di cristiani, fin con i piccoli portati in braccio, che agitando gioiosi rami di palma e olivo, seguendo il loro vescovo, scendono dal Monte degli Olivi, ripercorrendo il tragitto fatto da Gesù, accolto quale Messia “figlio di David”, come ben ci ricorda il canto. Nel seguire la processione è questo il significato più profondo a cui di nuovo siamo richiamati come assemblea liturgica: dovremo percepire il nostro stare lì non solo come singoli credenti, ma soprattutto come Chiesa, popolo orante in cammino dietro al suo unico Signore.

Certo, la lettura integrale del Passio, il Mistero della Croce, oggi è al centro della liturgia della Parola. Dopo la lettura d’ingresso e il rito processionale appena ricordati, dai sentimenti di gioia ed entusiasmo evocati, siamo ributtati in quelli dell’odio e della violenza, personificatati nei capi del popolo che vogliono far morire Gesù (Mc14,1). Tali sentimenti li abbiamo già incontrati nella lettura del terzo Canto del Servo dentro l’ostilità brutale riservata alla misteriosa figura descritta nel libro di Isaia (prima lettura). Questo cambio di scena così evidente, dal Messia acclamato a quello odiato, provoca un primo contrasto fra altri che incontreremo, dai quali cercheremo di cogliere un insegnamento. Seguendo l’ascolto dell’evangelista Marco nel suo racconto di Passione, (similmente agli altri evangelisti), vediamo Gesù posto in una progressiva solitudine, resa ancora più dolorosa perché provocata dai suoi discepoli-amici. Dopo il suo arresto ascoltiamo: «Allora tutti lo abbandonarono e fuggirono» (Mc 14,50). Così Egli in breve tempo, nel momento più tragico della sua vita, subisce il tradimento, il rinnegamento, l’abbandono totale. E qui sta un nuovo contrasto, nel quale ognuno di noi si trova rappresentato: da uomini di fede, che promettono coerenza e fedeltà diveniamo coloro che tradiscono, dimenticano, rinnegano. Non c’è forse tanta contrapposizione fra una folla prima esultante e osannante che dopo poche ore passa ad un grido di condanna (Mc15,13-14)? Come non riconoscerci in questi aspetti contraddittori? Come non identificarci nell’apostolo Pietro che prima impreca e rinnega, e poi, richiamato dal canto del gallo, scoppia in pianto (Mc14,72)? Esperienza dolorosa, di vergogna e umiliazione è quella dell’incontro con il proprio limite, con la propria inconsistenza, tanto che l’orgoglio cerca di ridimensionarne i contorni. Ma come potremo fare esperienza dell’amore di Gesù per noi, senza riconoscere la nostra povertà? Sentendoci saziati dal nostro piccolo io, come sapremo accogliere il dono di liberà che Gesù crocifisso ci offre, allora come oggi? Crediamo sia a partire dalla consapevolezza di chi veramente siamo che inizia la vera conversione. Ora siamo pronti (se lo vogliamo) ad attingere vita dalla Sua morte per noi. Come? La Parola odierna orienta bene lo sguardo. Ritorniamo personalmente davanti al crocifisso: ascoltiamo ciò che dice al nostro cuore; affretteremo così la Sua e nostra resurrezione!

Ci congediamo con alcuni versi di Turoldo, quale augurio per tutti voi:

«A tutti i cercatori del tuo volto,

mostrati, Signore;

a tutti i pellegrini dell’assoluto,

vieni incontro, Signore;

con quanti si mettono in cammino

e non sanno dove andare

cammina, Signore.»

a cura della Comunità monastica di Pian del Levro

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