La scossa elettorale

E' una scossettina quella provocata dalle elezioni provinciali, rispetto ai risultati elettorali in Polonia e Spagna, a quelli referendari in Irlanda, alle pene di Grecia e alla scadenza imminente del ricorso alle urne in alcune regioni italiane.

Briciole si è dimostrato anche l'esito dalle urne per i ballottaggi di domenica scorsa in Trentino, anche se una particolarmente consistente e pesante a Rovereto, per la svolta impressa dal voto nella conduzione dell'amministrazione comunale. Vittoria delle civiche – è stato detto da molti eletti – variegate comunque nei colori e nella composizione finale. Molte sono autonome, altre ispirate, sopportate o ignorate dai partiti maggiori. E' venuta meno l'idea guida dei simboli del passato, dei campanili con rondini e delle piante monumentali, per privilegiare l'appartenenza territoriale con la variante del solo pronome al nome proprio del Comune, quasi fosse ignorato o scomparso dalle cartine geografiche.

Un puzzle per taluni aspetti conseguente ai disaccordi fra i partiti e alle difficoltà di rapporti con le centrali politiche nazionali, a loro volta cariche di lacerazioni. Gli anni che hanno preceduto l'avvio della nuova stagione amministrativa sono risultati pesanti per l'instabilità dell'assetto territoriale, ondivago in fatto di Comunità di Valle, con continui sussulti determinati dalla crisi economica, dalla politica del rigore e dei tagli alla spesa pubblica, stravolto in molte parti in quella che era la visione dellaiana del sistema trentino e dai percorsi di novità avviati da Rossi.

Gli eletti (sindaci, giunte e consigli) sono chiamati ora alla prova dei fatti e a dimostrazioni concrete di coerenza con quanto promesso, di collegialità negli organismi associativi (Comunità di valle, Consorzio Comuni, Bim, Consorzi intercomunali, commissioni varie) e di lungimiranza nelle scelte che si andranno a fare nel rispetto del bene comune. L'auspicio di una più stretta collaborazione fra i partiti di governo è il pressing di capigruppo e leader partitici sui membri di Giunta in Provincia.

Il voto di domenica dirà in che direzione sta andando invece l'Italia. Berlusconi ha già mandato a dire la sua, a Matteo Renzi, paventando, in caso di sconfitta in alcune Regioni, la caduta del governo. La scossa potrebbe risultare dunque molto violenta.

Di grado ben più elevato si è dimostrata quella che ha colpito l'Unione Europea nella amministrative in Spagna e nelle politiche in Polonia con la vittoria di partiti che contestano le strategie di austerity, allineandosi con la Grecia a una passo dal default. Il negoziato fra la stessa e i suoi creditori rimane nel guado, mentre sembra rientrata la prospettiva di una rottura immediata.

Gli ex indignati spagnoli di Podemos hanno conquistato Barcellona e ipotecato Madrid. Contestano la politica di austerità della Ue e propongono, fra l'altro, il blocco degli sfratti per le famiglie indigenti, la lotta alle rendite finanziarie e il controllo pubblico sulle grandi banche. Andrea Duda 43 anni, poi, ultraconservatore euroscettico, è il vincitore in Polonia del ballottaggio per le elezioni presidenziali. Sostenuto dal mondo contadino, disoccupati, giovani e dagli ambienti più conservatori della Chiesa cattolica, subito dopo il voto, si è recato al Santuario nazionale della Madonna Nera di Jasna Gòra, a Czestochova, dichiarando di voler servire “come il presidente di tutti i Polacchi”.

Resta l'attesa per elezioni in Francia nel 2017, con la destra antieuropeista di Marine Le Pen alla riscossa, e per le decisioni del premier inglese Cameron e del referendum sul “Brexit” (permanenza o uscita dalla Ue). L'Europa, pur da posizioni assai distanti politicamente, è vista come divisa e incapace di dare risposte ai problemi più gravi sia di politica interna che estera. L'Ue deve cambiare – sbotta il premier Renzi. Per l'ex presidente del Consiglio Enrico Letta, è la fine di un'era. L'Europa è a rischio disgregazione, commenta Romano Prodi: “Non ha più politiche né idee; ha solo regole aritmetiche, ma con le aritmetiche non si governa”.

Una scossa tremenda, infine, ha investito la Chiesa cattolica e anglicana. Il 61% degli irlandesi ha detto “si” al matrimonio gay. I “no” sono stati il 37,9%. Una doccia fredda per la Chiesa irlandese, la quale – a detta dell'arcivescovo di Dublino Martin Diarmuid – “ha bisogno di fare i conti con la realtà, a tutto campo”. L'esito del referendum è definito dal Segretario di Stato del Vaticano mons. Pietro Parolin, “una sconfitta per l'umanità” e deve indurre la Chiesa a rafforzare il suo impegno per evangelizzare. In Italia, nel frattempo, martedì 26 maggio, è entrato in vigore il divorzio breve. Atteso, prossimamente, il voto parlamentare sulle unioni civili e/o matrimonio gay.

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