“Così la guerra cambiò il volto al nostro paese…”

Insieme alla madre Alfonsina Gina, che avrà 100 anni tondi tondi il prossimo ottobre, si è messa a svuotare quei cassetti dove erano state riposte in ordine le lettere che il nonno Marino spediva dal fronte, dalla Galizia, dove i trentini dell’Impero venivano mandati, dal 1914, a combattere i Russi.

Ida Iachemet, 74 anni, ora in pensione ma maestra elementare per quasi quarant’anni, di cui gli ultimi 25 passati a Palù e un paio a Ville, dove vive, è partita da lì per ricomporre non solo una storia famigliare, ma quella della comunità di Giovo, in val di Cembra, durante la Prima guerra mondiale.

La maestra Iachemet, con l’aiuto della nipote Marlene e del marito Pavel, ha raccolto testimonianze, documenti e fotografie custoditi da diverse altre famiglie del paese, in particolare delle frazioni di Ville e Valternigo che al tempo facevano parte della stessa parrocchia. Ha lavorato per circa un anno ai testi, alla riproduzione di lettere e foto, alla scansione delle varie parti di cui è composto “Con la guerra tutto è perduto. Ricordi della gente di Giovo sul primo conflitto mondiale” pubblicato da “Artimedia Valentina Trentini, Editore”. E pensare che l’idea di Ida Iachemet, almeno all’inizio, era un’altra. Voleva realizzare un calendario che scandisse, mese per mese, il lavoro dei campi. “Pensavo di raccogliere dei fondi – ricorda – per darli al nostro missionario, padre Norberto Stonfer che a Khartum, in Sudan, si occupa anche delle tante madri con figli piccoli che finiscono in carcere per aver venduto merce di contrabbando. Lo fanno solo per poter sopravvivere”.

A farle cambiare idea il sindaco di Giovo, Massimiliano Brugnara e la sua giunta, che pensavano invece a qualcosa che potesse rimanere più a lungo, a memoria della storia del paese, salvo aiutare in altro modo il missionario. Era il 2012 e già si parlava di come ricordare il Centenario del conflitto. A Ida Iachemet vennero in mente quelle lettere che il nonno Marino spediva da terre lontane alla moglie Erminia e da dove era tornato gravemente malato per morire tra i suoi cari dopo poche settimane. E del fatto che ai suoi alunni di quinta elementare raccontava la Grande Guerra prendendo spunto dalla storia degli abitanti del suo paese che, a differenza di molti altri trentini, con l’entrata nel conflitto del Regno d’Italia nel 1915 non vennero sfollati nelle province dell’Impero Austro-ungarico.

Il risultato è uno spaccato, inedito, di storia collettiva di una comunità contadina. Un ritratto non solo degli uomini spediti a fare la guerra ma anche delle famiglie rimaste, delle mogli, dei figli, degli anziani, costretti ad una vita ancora più misera del solito. Ma pure di altri soldati dello stesso Impero mandati sul fronte trentino, lontani pure loro da casa e che avevano rapporti spesso solidali con le popolazioni locali. Perché ogni guerra è anche storia che incide le carni vive di chi la subisce, siano soldati o civili. Vittime predestinate di decisioni prese altrove, in stanze aperte a pochi. E riversate sui campi di battaglia e nelle case di chi aspetta, spesso invano, il ritorno di mariti e figli.

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