Quei “tweet” d’amore sui faggi

Nei pressi del lago di Cei è tutto un fiorire di messaggi incisi sui tronchi

Nell'epoca di Twitter e di Facebook, passano nel dimenticatoio le altre forme espressive usate nel passato da due persone innamorate: bigliettini, lettere, cartoline, foto e i primi filmati, incisioni sui massi o sugli alberi. Nei pressi del lago di Cei, nel grande bosco di faggi che fanno da cintura a Villa Marzani, a Prà lungo, al lago stesso e ai biotopi nei pressi della chiesetta di San Martino, iniziali di nomi e cognomi, cuori con freccia, date, parole d'amore stanno a testimoniare una consuetudine consolidata fra le coppiette che hanno frequentato nel passato la zona. Ad un certo punto ai 1200 metri della Selva di Daiano si è trasferita anche la contrapposizione ideologica dei partiti politici con tanto di simboli scortecciati e brevi slogan elettoralistici incisi, non si sa se con rabbia oppure con bonaria accondiscendenza. Da anni, un albergatore della zona, scortato dal proprio cane, è alla ricerca dei tanti cinguettii umani sugli alberi, confusi con quelli degli uccelli che vi nidificano.

La realizzazione della recente viabilità forestale ha privato la faggeta di alcune pagine del romanzo d'amore arboreo per il taglio dei tronchi. Il muschio sottile determinato dalle piogge battenti di questo 2014 nelle porzioni di bosco a settentrione e la crescita smisurata dei fusti stanno ostruendo alla vista moltissime delle incisioni o falsandone il contenuto con lo stiramento delle lettere e dei numeri.

Si tratta di un romanzo storico in quanto il fenomeno dei “tweet” con l'uso di temperini, coltelli o roncole, copre qualche decennio; una data su tutte: 1922.

Con un po' di accortezza si potrebbe stabilire anche la stagione propizia per le dichiarazioni d'amore, che a prima vista non è l'estate, ma l'autunno.

I nomi sono tanti da esaurire l'intero calendario. I cognomi si fermano alla lettera iniziale al riparo dell’anonimato.

Il cuore del bosco degli innamorati è rappresentato dalla vecchia “giazera”, un rudere utilizzato come freezer che d'estate con tutta probabilità sfruttava l'aria fredda che fuoriusciva da una fessura rocciosa del terreno che consentiva di mantenere a lungo i pezzi di ghiaccio prelevati d'inverno dal lago ghiacciato di Cei, utilizzati in una peschiera a valle, che operava in quel di Castellano. L'area boschiva ha occupato quella prativa ed i campi quasi tutti di un'unica famiglia, Marzani. Si tratta di circa 100 ettari di terra di proprietà nel 1600 dei Lodron che erano soliti villeggiare sulle rive del lago, ma che si erano costruiti delle residenze nobiliari, una della quali ancor oggi chiamata con rispetto “Grande Palazzo”. Più di così. Lo stabile fino a pochi anni fa era stato convertito in comunità terapeutica per il recupero dalla tossicodipendenza. Con la complicità di qualche vandalo che ha scardinato gli infissi mostra qualche segni del degrado.

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