Il richiamo di Sandino

La rivoluzione in Nicaragua è stata l’espressione di un intero popolo e non semplicemente di un’avanguardia. Il ruolo dei cristiani

Padre Miguel d’Escoto – Ministro degli Esteri del Nicaragua dal 1979 al 1990 – ha ottenuto recentemente la revoca della sospensione “a divinis”. Aveva scritto a papa Francesco chiedendogli di poter celebrare di nuovo l’Eucarestia “prima di morire” e Francesco glielo ha concesso. Ricordiamo che l’episodio più clamoroso e controverso di quegli anni avvenne all’aeroporto di Managua nel marzo del 1983 quando papa Wojtyla alzò il suo indice ammonitore contro padre Ernesto Cardenal, inginocchiato davanti a lui, perché nonostante fosse un sacerdote aveva accettato l’incarico di Ministro della Cultura nel governo sandinista di Daniel Ortega.

Trentacinque anni fa la rivoluzione nicaraguense che mise fine alla lunga dittatura di Anastasio Somoza… Proprio lo scorso 19 luglio, nell’anniversario di quello storico evento, accanto ai festeggiamenti di popolo in tutte le città e villaggi nicaraguensi si sono verificati alcuni episodi violenti con diversi morti e feriti, per dire che anche a distanza di anni risulta ancora discussa e controversa quella circostanza di insurrezione di popolo.

Sconfitto nel 1990 dalla “guerra sporca” foraggiata dagli Stati Uniti di Ronald Reagan, il Fronte sandinista è tornato al governo nel 2006, trovando un quadro sociale ed economico devastato: 48% di povertà; 17% di povertà estrema; 55% di denutriti. Conseguenza dei governi neoliberisti che si erano succeduti dopo la sconfitta elettorale.

Ma cosa aveva significato l’esperienza della rivoluzione sandinista nel contesto latinoamericano in quegli anni? Qual era propriamente la specificità del sandinismo? Occorre ricordare che la rivoluzione in Nicaragua è stata l’espressione di un intero popolo e non semplicemente di un’avanguardia. E di un popolo che si sentiva incamminato su una strada di liberazione rispetto ai molti gioghi patiti negli anni dell’oppressione coloniale prima e nordamericana poi. E in questo contesto il ruolo dei cristiani è importantissimo: membri del clero, responsabili di comunità religiose e di organizzazioni cattoliche sono impegnati a migliaia nel Fronte sandinista.

La Chiesa sostiene un ruolo apprezzabile – di sprone e di coscientizzazione – durante il periodo somozista; i vescovi nel 1979 riconoscono il diritto all’insurrezione popolare. Poi, però, una volta al potere i sandinisti, inizia un periodo di sospetto e in seguito di aperto conflitto tra gerarchia e Fronte sandinista. Conflitto che attraversa diametralmente anche il mondo cattolico nicaraguense. I cristiani “rivoluzionari” vogliono manifestare la loro fedeltà ad una Chiesa dei poveri e a loro giudizio la causa dei poveri – il loro riscatto e dignità – è ben rappresentata e servita dal progetto complessivo sandinista. I cristiani vicini agli interessi e alla visione generale della classe fino ad allora dominante – i latifondisti, la borghesia più legata agli interessi economici vincenti – vedono il pericolo di Cuba e del mondo comunista. Per cui la stessa vita ecclesiale risulta fortemente politicizzata anche perché – per ragioni storiche – la distinzione tra Chiesa e stato non è sempre palese e chiara nel contesto centroamericano.

Il sandinismo si richiama al padre dell’indipendenza del Nicaragua ed ha connotazioni di forte identità nazionale, di emancipazione rispetto ad interessi stranieri e di riscatto delle classi popolari più svantaggiate. Caratteri che conserva sebbene in modo più ibrido e indistinto anche l’attuale “nuovo” corso di Ortega, un politico largamente riciclato.

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