Chiamati al dialogo, ma “per fede”

[Alessandro Martinelli indica un passaggio: “Va superato il multi/religioso per vivere da cristiani la dimensione inter/religiosa”.

Il Consiglio Pastorale Diocesano sabato scorso si è confrontato con le sfide e le opportunità del dialogo interreligioso, anche alla luce dei drammi internazionali. Alessandro Martinelli, direttore dell’Ufficio ecumenico diocesano, ha cercato di svelare lo sguardo del Trentino multireligioso, offrendo una breve panoramica delle principali presenze: dai cristiani ortodossi alle comunità evangeliche storiche, dai nuovi movimenti evangelicali al variegato mondo pentecostale, il Trentino sta ormai diventando una sorta di microcosmo in cui le varie identità religiose sembrano moltiplicarsi senza sosta. Così, accanto ai tanti nuovi cristiani (la maggior parte delle nuove presenze), ecco le comunità di tradizione islamica, un piccolo nucleo ebraico, ma anche fedeli baha’i e sikh, centri di divulgazione del pensiero orientale induista e buddista, senza tralasciare i tanti movimenti religiosi alternativi ai pensieri storici. La lettura non poteva certo non indurre ad alcune riflessioni: l’importanza della fede non solo come dimensione privata, la difficoltà nel distinguere il dato religioso da quello etnico culturale, lo stato delle cose continuamente in evoluzione, il superamento del dualismo “trentini cattolici” e “stranieri musulmani”, senza dimenticare l’aspetto importante delle ripercussioni locali rispetto ai fatti internazionali.

Un quadro che evidenzia elementi critici, come il diffondersi di un generale disorientamento di fronte all’altro,l’evidenziarsi dell’analfabetismo religioso, il propagarsi di alcuni rischi sociali come la paura, l’egoismo, l’insofferenza; in positivo, vari elementi come il sorgere di principi di convivenza e il consolidarsi di buone pratiche.

Un passaggio fondamentale è richiesto ai credenti: siamo chiamati a superare il multireligioso con l’interreligioso, ovvero a vivere il dialogo “per fede”. Un cristiano si pone in dialogo essenzialmente per fede. Indipendentemente dall’altro. Poiché per fede non solo “nessuno mi è estraneo”, ma, al contrario, per fede “ognuno mi è necessario”. Così l’icona del dialogo non può esser altro che la sequela di Cristo, costituendo essa stessa l’alterità, la diversità, la differenza cristiana. Il dialogo diventa stile, dimensione, non certo un settore specifico della chiesa o, peggio, una strategia diplomatica per risolvere emergenze sociali. Questi stessi motivi hanno portato a confrontarsi con Alessandro Martinelli, in questi giorni, anche i membri dalla Commissione Migrantes del Triveneto, presieduta dall’arcivescovo Bressan, in vista di una possibile collaborazione per una mappatura del territorio. Identità ed empatia sono le due necessarie categorie che papa Francesco ha sintetizzato il 17 agosto scorso parlando ai vescovi dell’Asia: «È la fede viva in Cristo – affermava Francesco – che costituisce la nostra identità più profonda, cioè essere radicati nel Signore, ed è questa che siamo chiamati a condividere in modo sincero, onesto, senza presunzione, attraverso il dialogo della vita quotidiana, il dialogo della carità e in tutte quelle occasioni più formali che possono presentarsi”.

Ma noi cristiani siamo in grado di dire “chi siamo”? Quando incontriamo l’altro, siamo davvero convinti dell’importanza della sua fede? O ci stiamo forse rassegnando alle presenze senza alcun tentativo di interazione, senza alcuna ricerca?

Il dialogo s’impara prima di tutto a casa propria: se noi facciamo fatica a cogliere come un valore il pensiero diverso, la differenza di vedute, la gerarchia nelle verità, come potremmo pensare di cogliere il valore diverso e positivo dell’altro “fuori da noi”? Ecco perché il dialogo diventa sfida: come uno specchio rimanda a noi i nostri limiti, le nostre paure, ma anche le nostre potenzialità che talvolta non sappiamo sfruttare.

Qualche suggerimento? Provare a stendere una mappatura religiosa dei territori in cui abitiamo, porre attenzione al linguaggio che utilizziamo nella catechesi e nella formazione parlando degli altri, suscitare momenti comuni di preghiera o, almeno, cercare di ricordare anche gli altri nel nostro pregare; in breve, occuparsi dell’altro dal punto di vista della sua fede. Di fronte al rimontare di razzismi e fondamentalismi violenti anche in casa nostra, l’instaurarsi di un nuovo stile diventa urgente; per i cristiani “semplicemente” questione di fede.

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