Il nuovo Mali

Romano Prodi, inviato speciale dell’Onu nell’area del Sahel, è ottimista

E’ ben vero che l’intervento francese in Mali era stato criticato come un’interferenza molto interessata. E’ vero anche che Francois Hollande ha detto candidamente che l’invio di truppe serviva anche a garantire le forniture di uranio alle centrali nucleari francesi. Però… a un anno e mezzo dall’invio dei 4 mila militari francesi, occorre costatare che la situazione in Mali è molto cambiata. E decisamente in meglio. E’ stato eletto un presidente, Ibrahim Boubakar Keita, che è amato e stimato dai maliani. E’ andato avanti in modo significativo il processo di riconciliazione nazionale con i tuareg secessionisti del nord che in una prima fase si erano addirittura alleati con gli islamisti più intransigenti e violenti. Soprattutto sono stati resi innocui, almeno per il momento, i gruppi e le milizie islamiche che già avevano imposto la sharia, la legge islamica, nelle città del nord che avevano cruentemente conquistato a suon di mani mozzate, fustigazione, donne segregate, insomma il più orrendo scenario del fondamentalismo.

Romano Prodi, inviato speciale dell’Onu nell’area del Sahel, è ottimista e sta lavorando con le varie leadership per avviare una fase di crescita integrata per i cinque paesi interessati: Mali, Mauritania, Niger, Burkina Faso e Ciad. E se il presidente Boubakar Keita è l’uomo a cui la gente guarda, appunto, con speranza, dovrà egli stesso, con il suo movimento politico, il Rassemblement pour le Mali, non perdere troppo tempo nel dare quelle benauguranti parvenze di cambiamento che la popolazione si aspetta.

Stabilizzare il processo di pacificazione con i tuareg concedendo loro margini di autonomia che da anni richiedono senza inficiare l’unità nazionale. E’ il solo modo per non inimicarsi il movimento tuareg che abita l’arida regione dell’Azawad, con loro non potrà permettersi di tergiversare a lungo perché l’armeé malienne in più occasioni si è dimostrata imbelle difronte a soldati motivati e rodati nelle guerre libiche come sono appunto i tuareg. E non c’è ombra di dubbio che a questo punto la stessa stabilità della democrazia maliana dipende in larga misura dagli accordi che si sapranno stringere con i tuareg.

Un’altra questione da affrontare è quella della presenza dei caschi blu della missione Onu che dovrà durare lo stretto necessario per consolidare la pace per poi andarsene. Sarà il segno che il governo del Mali è pienamente capace di “governare” il suo territorio e la sua gente senza soverchie interferenze.

E infine, fondamentale, risulta l’obiettivo di dare speranze concrete alla gente, una strategia di sviluppo praticabile. Su questo Prodi ha in mente un accorgimento interessante: “Creare un modello di concorrenza virtuosa che eviti le lentezze che oggi ritardano gli interventi internazionali a favore dello sviluppo”. Se una ong tedesca, ad esempio – Misereor oppure Adveniat, potenti associazioni legate alla Caritas – volessero creare un ospedale sul posto, lo realizzino direttamente senza transitare per le lungaggini burocratiche delle Nazioni Unite: saranno poi i maliani stessi a giudicare se quell’intervento funziona o no.

E’ il nuovo Mali che si affaccia sulla scena africana. Se va bene, può fungere da traino per i vicini. E non guasterebbe.

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