Sardagna, i cittadini chiedono soluzioni per l’ex cava

L’ex cava Italcementi di Sardagna fa discutere
Gli abitanti di Sardagna, stanchi della presenza della ex cava Italcementi sita a valle del loro paese e da tempo abbandonata a se stessa, hanno fatto sentire lunedì 19 gennaio il loro malumore in due ore e mezza di incontro pubblico. Dinanzi a una folta schiera di cittadini, il presidente della Circoscrizione di Sardagna Mirko Demozzi, l’assessore delegato all’ambiente del comune di Trento Michelangelo Marchesi e il dirigente dell’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari Francesco Pizzo hanno tentato di dipanare l’annosa questione – precipitata celermente in gravoso grattacapo, a carattere ambientale, paesaggistico e sanitario – correlata alla discarica per rifiuti inerti gestita da Sativa Srl all’interno di quel lotto che il Piano regolatore generale del 1989 indicava “area di recupero ambientale”.

Una ventata di perplessità s’è levata anche da parte di un gruppo di giovani che hanno chiesto maggiore chiarezza su questo intricato caso. “La situazione va tenuta sotto controllo anche se non sembra presentare pericoli sotto il profilo sanitario”, ha voluto rassicurare l’assessore Marchesi. Quella cava dismessa che ha occupato stabilmente 256 operai intorno agli anni Quaranta del secolo scorso e che oggi appartiene non solo alla memoria collettiva ma anche allo skyline della città di Trento, s’è trasformata nel frattempo in un “peso insopportabile” a causa delle fastidiose polveri talora emesse nell’aria oltre che per quanto (e quando) si deciderà di farne del luogo.

In una delle sue ultime sedute, la Circoscrizione di Sardagna aveva indicato la strada della ripresa dei lavori di riempimento della discarica con un nuovo progetto e una nuova convenzione con il comune di Trento tenendo fede all’intento principale: da un lato stabilizzare il versante meridionale ai piedi del Bondone, interessato, stando a rilievi topografici e accertamenti in corso da parte del Servizio Geologico provinciale, da un lento movimento franoso; dall’altro, di restituire alla comunità un’area ripristinata perché ad oggi “deturpata e desolante”. Al punto da indurre più di un abitante a domandarsi perché lì, su quel terreno calcareo coltivato a cava per la produzione di clinker, “non cresce nemmeno un filo d’erba”. Dilemma al quale nessuno, in quella sede, ha saputo rispondere. E pochi hanno tratto rassicurazione dalle parole del dottor Pizzo secondo cui “i dati in nostro possesso non sono tali da configurare rischi per la salute umana”.

Non sono trascorse molte estati da quando a Sardagna si constatavano incessanti andirivieni di camion carichi di materiale di natura e provenienza per lo più ignote scaricare in quel cratere, persino di notte. Chi nei paraggi lavora i campi racconta di bruciore agli occhi in certi momenti della giornata o, ancora, di intense zaffate percepibili tra le case. Ora Sativa stima in 500 mila metri cubi di materiale il quantitativo del conferimento necessario alla stabilizzazione del terreno. Vale a dire almeno otto anni di lavoro ininterrotto dovendo usufruire della teleferica a Maso Visintainer capace di circa 60 mila metri cubi annui. Oltre a 170 mila metri cubi di terra di copertura costipata per uno spessore di due metri e da rinverdire.

Assolutamente escluso l’uso di mezzi stradali, secondo Demozzi, che aggiunge: “Se si dovesse continuare a riempire la discarica esigiamo materiale pulito, analizzato e in quantità strettamente necessaria a fermare il dissesto, il completo ripristino ambientale e il monitoraggio dell’area anche a lavori conclusi”. Nessuna soluzione definitiva, ma la ferma volontà di intervenire al meglio per il bene della popolazione. E al più presto.

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