“Scrivere icone, la mia missione”

Le opere dell'artista solandra sono conosciute anche fuori dai confini europei

“Le spiego perché ‘scrivo’ e non dipingo icone”, afferma con voce decisa ma serena la vermigliana pittrice di icone Lina Delpero che da venerdì 10 a mercoledì 15 aprile presenterà una propria mostra presso la Pieve di Santa Maria Assunta di Condino. “L’iconografo è un servitore, non è la sua fantasia quella che mette sul legno, ma è la fede della Chiesa. Deve conoscere la Parola di Dio, la storia della Chiesa, la simbologia, le indicazioni date dal Concilio”.

Non solo le icone classiche infatti sono dodici e corrispondono agli altrettanti momenti forti dell’anno liturgico ortodosso (come anche nel nostro, anche alcune festività, come la morte della Vergine, non si celebrano), ribadisce Delpero, ma vi sono stati dei concili nel mondo ortodosso che hanno definito significato dei colori, atteggiamento del corpo, delle mani, delle espressioni delle figure da rappresentare. Tanto è vero che le icone che vengono esposte in chiesa alla fine del lavoro di pittura vengono esaminate dal vescovo, o in sua vece da un sacerdote, che verifica se nell’icona sia espressa davvero la fede della Chiesa, rendendole “autentiche” solo quando le benedice (in realtà anche quelle famigliari si fanno benedire).

“Una difficoltà che può esistere in questo ambito artistico è quindi essere creativi e originali nella fedeltà”, ammette Delpero. Esistono infatti due linee di pensiero in Europa oggi: chi ritiene che l’iconografia si sia fermata al 1500, momento d’auge con l’artista russo Rublov dell’iconografia orientale, per cui bisogna rifarsi a quell’arte, e chi, come alcuni grandi iconografi attuali, sostiene invece che, avendo intuizioni di rappresentazioni molto belle, si possa lavorare anche così.

Lina Delpero si riconosce in questa seconda posizione: le sue icone sono “sue”, una sua lettura del mistero rappresentato, e non copie di antiche icone: “Nella meditazione e nella preghiera intuisco un di più del mistero rappresentato e cerco di esprimerlo”.

Della religiosità e della cultura ortodossa Delpero apprezza però la maggiore capacità di interiorizzazione del cammino spirituale di ognuno e della chiesa intera: “Noi discendiamo dai romani che erano d’indole più pragmatica, per cui il nostro cristianesimo si è incarnato in cultura più guidata all’azione, mentre in Oriente si è molto più contemplativi e la religione è più legata all’essere, alla santificazione personale”. Le stesse opere d’arte nella religiosità orientale, non sono solo da guardare, ricorda, ma qualcosa che coinvolge lo spettatore: “L’icona non è finita se non c’è chi la guarda; lo spazio sacro comprende chi guarda e prega l’icona, altrimenti l’opera non ha senso”, spiega ancora l’artista.

Tuttavia, ricorda ancora Delpero, come con grande lungimiranza Papa Giovanni Paolo II diceva, “la Chiesa deve respirare a due polmoni”, intendendo con ciò che cristianesimo d’Oriente e d’Occidente devono essere complementari, se si vuole arrivare a una vera pienezza di fede.

“Per me scrivere icone è una missione”, conclude l’artista trentina, le cui opere sono conosciute anche fuori dai confini europei. “Io l’ho sempre fatto più per le famiglie che per la liturgia, in modo che le icone diventino una presenza spirituale nella casa”. A rendere più vera la Parola che dice: “Se qualcuno ascolta la mia voce, e mi apre, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”.

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