“Pagine buie da riaprire”

Non sempre gli anniversari “servono”, purtroppo. Talvolta si rivelano anche la chiusura di un capitolo, la rimozione di una memoria. Non dovrebbe essere così – anzi in questo caso “il caso” viene aperto per la prima volta con decisione – per gli oltre mille fucilati italiani della prima guerra mondiale, mandati a morte con giustizia sommaria, sotto processo.

Raccogliendo una mobilitazione esplosa negli ultimi sei mesi dalla società civile “in forma eruttiva” – come ha detto lo scrittore Paolo Rummiz – il Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto, d’intesa con l’Accademia degli Agiati e la Fondazione Museo Storico del Trentino, hanno promosso un’attesa due giorni insieme al Centro Universitario di studi e ricerche storico-militari: “D’ora in poi – ha detto il presidente Nicola Labanca – bisogna lavorare insieme in modo ancora più deciso nella ricerca storica utilizzando tutte e tre le gambe: “non solo i militari storici e gli storici militari ma anche i ricercatori della società civile, i giornalisti, gli esperti locali”. Ci vuole un approccio a 360 gradi, come ha riconosciuto anche il sottosegretario alla Difesa Domenico Rossi, in linea con le conclusioni della commissione di studio del Ministero della Difesa, che impone la necessità di colmare il ritardo con gli altri Paesi europei e condurre una ricerca su questo fenomeno complesso e delicato. «Ma le istituzioni d’ora in poi non hanno nulla da nascondere – ha chiarito Rossi – e in questo convegno abbiamo messo la pietra iniziale dell’approfondimento».

A dare una spinta decisiva è stato il presidente della Repubblica con un messaggio (vedi riquadro) anticipato domenica dal quotidiano cattolico Avvenire, autore di varie inchieste sul tema: “Si tratta di soldati mandati a morte, estratti a sorte – ha scritto Mattarella – tra i reparti accusati di non aver resistito di fronte all’impetuosa avanzata nemica, di non aver eseguito ordini talvolta impossibili, di aver protestato per le difficili condizioni del fronte o per la sospensione delle licenze”.

Parola chiave del convegno è “riabilitazione”, ma tutti convengono che essa non può essere generalizzata, perchè ogni episodio merita attenzione specifica: «La società civile ci chiede di fare di più – osserva lo storico Agostino Giovagnoli – dobbiamo saper assumere il punto di vista di quanti sono stati fucilati, delle loro famiglie, dei loro Paesi. Ogni caso di fucilazione è diverso, va studiato singolarmente, facendo emergere l’umanità delle persone coinvolte »

Alcuni racconti di particolare interesse sono stati proposti da Fabrizio Rasera, presidente dell’Accademia Roveretana degli Agiati, che ha documentato un fucilato trentino in uniforme austroungarica, e da Luca Boschetti, sindaco di Cercivento, che ha voluto un monumento ai suoi 4 fucilati del 1916. Quattro gli spunti operativi del convegno: attenzione più specifica al sistema della giustizia militare dell’epoca, l’accesso autorizzato alle fonti documen-tali, l’attivazione di borse di studio universitarie e la necessità di distinguere situazioni molto complesse, compresi gli episodi di vendetta verso gli ufficiali. Nel chiudere i lavori Camillo Zadra, provveditore del Museo Storico della Guerra ha condiviso la soddisfazione per questo appuntamento “di svolta”, invitando però ad avere pazienza per lasciare che la ricerca segue i tempi necessari ad un lavoro rigoroso e “giusto”.

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