“Sarebbe il sogno di Dio”

Marco e Lucia Matassoni rileggono le conclusioni del Sinodo, che potrà rinnovare la pastorale all'insegna dell'inclusione e dell'integrazione. “In aula non fazioni, ma sensibilità diverse determinate da formazione personale e soprattutto dal contesto pastorale”

In partenza da Roma – “Buon viaggio, buon rientro in Trentino”, è il saluto delle guardie svizzere che hanno imparato a riconoscerli: i roveretani Lucia e Marco Matassoni, una delle due coppie italiane invitate ai lavori del Sinodo come uditori, lasciano San Pietro dopo tre settimane di “esperienza unica, straordinaria”. Come la racconterete ai vostri quattro figli? “Con la riconoscenza del salmo di stamattina, ‘grandi cose ha fatto il Signore per noi’ – si confida mamma Lucia Zecchini, biologa di formazione, assistente spirituale in due Rsa di Rovereto – e l’impegno a continuare a camminare insieme. Convinti che le difficoltà di ogni giorno si possono condividere, che l’educazione dei figli è faticosa ma anche entusiasmante, che sono in molti ad annunciare il Vangelo delle famiglia”.

Dalla residenza Santa Marta, la “casa” del Papa, esce di fretta un padre sinodale italiano, mons. Vincenzo Paglia, che abbraccia gli sposi trentini, scambiandosi un “tu” informale e fraterno. “In questi giorni abbiamo incontrato tanti veri pastori, disponibili ad ascoltare l’esperienza delle nostre famiglie, a condividerla in profondità. Qualcuno ci ha anche commosso, per l’umiltà con cui si è confrontato a cuore aperto con noi laici”, rivela papà Marco, ricercatore informatico alla FBK di Trento, che coglie uno stile da riportare anche sul territorio in quest’esperienza di scambio fra laici e ministri di Dio: “Anche nei nostri paesi, nelle Unità pastorali o nei decanati possiamo lavorare sempre di più insieme, arricchendoci a vicenda”.

“Ah bene, ora si torna in parrocchia”, ci saluta con sollievo il card. Angelo Bagnasco che incontriamo nel cortile davanti alla “Sala Nervi”, dedicata a Paolo VI e sede dell’aula sinodale, accompagnato dal suo portavoce, il nostro ex direttore don Ivan Maffeis, impegnatissimo a “filtrare” i vaticanisti italiani.

“Ho apprezzato come il presidente della CEI che guidava il nostro ‘circolo minore’ di lingua italiana – osserva Lucia – abbia preso nota di ogni intervento, riuscendo poi a valorizzare tutti nella sintesi. Anche le voci meno condivise – lo si è avvertito pure in aula – venivano seguite con grande rispetto”.

Ma è stato “Sinodo delle famiglie” anche fuori dall’aula. Lo constatiamo al pranzo di congedo con i cinque vescovi e gli altri uditori (come i Matassoni) riuniti ad un tavolo a sei sette lingue diverse. “Siamo diventati una famiglia”, conferma mons. Selvister Ponnumulthan , un frizzante vescovo indiano che viene dalla martoriata regione del Kerala e sembra rinvigorito da quest’immersione fra le famiglie di cinque continenti: “Erano tutte impegnate nelle loro diocesi, ognuna con una particolarità – raccontano prima dela torta finale  Lucia e Marco – ma ci siamo scambiati un piccolo pezzo della nostra realtà di Chiesa, meravigliandoci di come il Vangelo si realizzi nel mondo. A proposito di queste differenze Papa Francesco ha detto di aver visto che “quanto sembra normale per un vescovo di un continente può risultare strano, quasi come uno scandalo, per il vescovo di un altro”. Anche per voi? “Certamente. Nelle discussioni abbiamo sentito qualche vescovo più rigoroso, pronto a richiamare alla dottrina e alla fermezza dei prncipi e altri – provenienti talvolta da realtà più secolarizzate – preoccupati da trovare parole nuove per annunciare le stesse verità”.

Apriamo la cronaca di un quotidiano nazionale che presenta l’ennesimo schema dei cardinali progressisti, centristi e rigoristi. “Non parleremmo di schieramenti o di fazioni, impermeabili ad altre posizioni – tagliano corto i Matassoni – semmai di sensibilità determinate da formazione personale e soprattutto dall’azione pastorale in contesti culturali e sociali diversi. Ma il bello nella Chiesa è che queste differenze vengono riportate ad unità, grazie anche al Papa che è chiamato a fare sintesi”.

La relazione finale, inevitabilmente, ha deluso qualcuno ma è piaciuta a molti. Secondo voi? “E’ un bel testo, la Commissione ha lavorato a fondo tenendo conto dei lavori nei circoli e dei numerosi modi (gli emendamenti suggeriti dai sinodali, ndr). Un testo completo che rispetto al primo ricomprende attenzione a situazioni particolari come i giovani, i migranti, gli uomini in quanto padri. Dalla lettura è possibile cogliere un filo rosso in cui ogni famiglia si ritrova; esprime per tanti aspetti quello che sarebbere “il sogno di Dio” – di cui ci ha parlato il Papa – alla portata degli uomini di oggi”.

Sul treno che risale la penisola Lucia e Marco riordinano gli appunti (mercoledì prossimo parleranno a Trento, vedi appuntamento a pag. 7) e pensano anche che domani è lunedì, “torniamo con i piedi sulla terra”, con entusiasmo nuovo anche alla pastorale diocesana e alle parrocchie dove seguono la pastorale battesimale: “Su quest’esperienza che raccontiamo ad altre coppie abbiamo centrato il nostro breve intervento in aula sinodale (il testo nel sito www.vitatrentina.it), perché siamo convinti che il battesimo può diventare una preziosa occasione di condivisione di vissuti con altre famiglie e aiuta a prendere coscienza che c’è un origine che ci precede e ci supera. Un motivo di accompagnamento alla riscoperta della fede, magari donata ai genitori da bambini e poi trascurata”.

Stazione di Rovereto, sulla pensilina attendono i figli e gli amici. C’è ancora tempo per un ricordo, Lucia? “Non dimenticherò l’attenzione che alcuni vescovi mi hanno espresso come donna e come madre, come se la Chiesa fosse sempre più interessata alle testimonianze al femminile. Forse anche per il fatto che loro vedendo in me anche una madre o una sorella si arricchiscono di una sensibilità che talvolta non possono condividere nel loro ministero”.

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