Non si può dire che sia un buon periodo per la leadership di Renzi. Mentre i media aspettano di vedere i fuochi d’artificio della prossima “Leopolda” (il tradizionale raduno fiorentino del renzismo), il governo non riesce ad imporsi per una linea politica creativa e il partito del premier rimane prigioniero delle sue tribù interne e delle guerriglie parlamentari dei suoi scissionisti.
Spentasi come era inevitabile l’ondata emotiva per i fatti di Parigi, una politica di contrasto al terrorismo islamista non poteva certo rianimare il consenso: sono operazioni pazienti e scarsamente visibili e la individuazione di qualche cellula di presunti terroristi (perché al momento non si sa se si siano messe le mani su esaltati, ovviamente da non sottovalutare, o su personale già formato all’azione e ben diretto per quella) non è un evento che entusiasmi le folle. Certo la questione di come affrontare la questione nel contesto della politica estera non è poca cosa, ma l’Italia è un paese che sente poco questi temi e il governo ha, giustamente, scelto una linea prudente, ma anche qui finendo marginalizzato dall’attacco degli opposti estremismi, i pacifisti utopici e i guerrafondai populisti.
La ripresa economica su cui tanto aveva scommesso Renzi continua a rivelarsi più il percorso di una lumaca che l’incedere di una locomotiva. Gli ultimi dati statistici sono poco incoraggianti e soprattutto la disoccupazione giovanile, che resta intorno al 40%, regala consensi al M5S: naturalmente non solo quella, perché c’è anche il malcontento diffuso. La promessa di mettere mano ad una riforma del sistema della finanza pubblica, la cui revisione sarebbe essenziale per mostrare capacità di razionalizzazione, non ha trovato vera attuazione: troppo difficile tagliare davvero in momenti in cui si ha bisogno di non mettere a rischio il proprio consenso.
Trovate come il bonus di 500 euro da distribuire a pioggia ai diciottenni non ci paiono convincenti: forse incentiverà un po’ di consumi momentanei (capire quali saranno quelli veramente “culturali” è un azzardo), ma sarà una fiammata che si spegne in poco tempo.
Il dato vero è che il sistema politico continua a rimanere allo stato di una marmellata difficilmente gestibile e Renzi qui non sta dando prova di leadership. Il suo partito continua ad essere invischiato nel risiko delle candidature alle prossime amministrative e soprattutto non riesce a mettere in campo figure nuove capaci di tenere veramente la scena. Non è chiaro se questo dipenda solo da fattori oggettivi o anche dal fatto che Renzi non vuole dare spazio a figure che almeno un po’ siano in grado di imporsi all’opinione pubblica. Pensate alla compagine dei ministri: al di là di qualche buon professionista politico, non ci sono figure che sappiano farsi identificare per una propria proposta politica forte.
Certamente il parlamento è poco governabile. Lo si è visto nella vicenda delle elezioni dei tre giudici della Corte Costituzionale, quando l’impossibilità di formare persino una coalizione obbligata ha portato a 30 votazioni alla rincorsa del quorum necessario. E’ stato emblematico: da un lato i vertici dei partiti non hanno avuto l’autorevolezza per imporre i loro candidati, dall’altro gli oppositori non sono andati oltre la politica del basso boicottaggio senza poter coagulare attorno a sé una linea. E qui si è mostrata ancora una volta l’immaturità del M5S che gode solo di far sfoggio del suo potere di interdizione, senza essere in grado di produrre aggregazioni propositive.
Non è un quadro tranquillizzante se si pensa che siamo ormai in seduta di bilancio e che la legge che si deve preparare è una prova più che difficile. Innanzitutto perché deve passare le forche caudine del vaglio di Bruxelles. Sebbene noi non abbiamo gran stima degli euro burocrati che valutano le economie, rimane il fatto che i loro rilievi possono pesare non poco nelle dinamiche economiche future. In secondo luogo perché si deve puntare sulla capacità di creare una manovra finanziaria che dia qualche dinamismo al nostro sistema, senza metterne a rischio la coesione già precaria: una missione che oggi alcuni stimano al limite delle capacità umane della politica.