Il bilancio sociale non basta

Ma a cosa serve il bilancio sociale? Ormai tutti lo fanno: aziende, imprese sociali, enti pubblici, associazioni. Ma non tutti, forse conoscono le sue potenzialità. Anzi, nella maggior parte dei casi il bilancio sociale viene usato soltanto per autolegittimarsi agli occhi degli altri. Ne parliamo con Ericka Costa, ricercatrice del dipartimento di Economia e Management dell'Università di Trento, che da anni studia il tema della rendicontazione sociale e ambientale: “Credo che, a causa di questo atteggiamento generale, ci sia un po’ di nausea dei bilanci sociali”, ci spiega. “Nel frattempo, però, chi ha saputo cogliere le potenzialità di questo strumento nella programmazione interna, ha fatto un’evoluzione: ora si parla di bilancio integrato, che integra i diversi sistemi di rendicontazione”.

Ma andiamo con ordine.

Negli ultimi dieci anni cè stata una grande enfasi intorno al tema del bilancio sociale, da dove nasce questo interesse?

Ci sono state due spinte parallele. La prima è stata il venir meno del paradigma capitalista che vedeva le aziende completamente orientate alla massimizzazione del profitto: dalla consapevolezza di una responsabilità sociale, si è cominciato a parlare della rendicontazione sociale, che ha preso poi il nome di bilancio sociale. Un’altra forte spinta, che studio da molti anni, è venuta dal mondo del non-profit. Le imprese sociali erano obbligate dal nostro sistema giuridico a redigere un sistema di rendicontazione economica, che però snaturava il loro essere impresa con un fine ultimo sociale. Da lì è nata una forte spinta a trovare sistemi di misurazione diversi da quello economico, tanto che poi in Italia si è affermata anche una legge sulle imprese sociali che le obbliga a redigere un bilancio sociale.

Ora l’attenzione per il tema sembra venuta meno, soprattutto nelle realtà del non-profit. Come mai?

È successo che alcune pratiche non molto valide hanno finito per snaturare lo strumento. L’idea originale era di trovare un sistema che potesse misurare le performance aziendali non soltanto sul lato del profitto. Solo che, in realtà, la maggior parte dei documenti che sono stati pubblicati all’inizio avevano soltanto un intento di legittimazione nei confronti dell’esterno: far vedere, cioè, quanto si era belli e bravi, dando informazioni sempre positive. Belli anche nella forma, inserendo bellissime fotografie di bambini, spighe di grano, soli e girasoli… Alla lunga la gente si è un po’ stufata di leggere questi documenti che sembravano delle rappresentazioni troppo buoniste, e di conseguenza le organizzazioni hanno perso la motivazione a farli. Questo atteggiamento ha impoverito il valore dello strumento, e depotenziato quella che poteva essere la sua utilità.

Lei ha seguito e studiato molti bilanci sociali, trentini e non. Quali sono i limiti più ricorrenti?

L’autoreferenzialità esasperata e il copia-incolla dei contenuti da un anno all’altro. Il problema è che manca alle aziende il focus del bilancio sociale come strumento prezioso, oltre che di rendicontazione, per la propria gestione interna: rimane uno strumento compilativo, si cerca tutt’al più di cambiare le fotografie, e serve più che altro per dimostrare, a fine anno, quante belle cose si sono fatte. Le mie ricerche, ma ce ne sono anche di colleghi non italiani, dimostrano come la presenza di informazioni negative nei bilanci sociali sia sotto l’1%. Nessuno ti dirà mai se si era prefissato di aumentare i posti letto agli anziani, ma non ce l’ha fatta. Eppure, accorgersi di non aver raggiunto un obiettivo dà la possibilità di analizzarne le cause. Se non si misura, perché si vuole nascondere il risultato negativo, non si possono neanche prendere dei correttivi. Ma non ci sono buoni e cattivi, il problema è che manca una cultura e quindi una formazione adeguata.

Quando invece un bilancio sociale si rivela davvero utile?

Quando viene usato come strumento di programmazione, pianificazione e valutazione delle attività che avranno un impatto sociale. Porto l’esempio di una cooperativa sociale di Bologna molto grande, si chiama Cadiai e gestisce servizi per l’infanzia e per gli anziani, che mi disse così: ‘mi ha aiutato a tracciare la mia direzione’. Loro parlano di ‘budget sociale’; già dal 2001, accanto al bilancio economico fanno anche un bilancio sociale preventivo e consuntivo: il primo serve a indicare la strada da prendere, il secondo, che contiene anche le informazioni negative, mi permette di misurare la mia capacità di raggiungere certi obiettivi e l’impatto nei confronti degli stakeholder. E quindi di capire perché non ho raggiunto certi obiettivi. Se usato accanto al bilancio economico, può essere uno strumento molto potente.

Questo vale a maggior ragione per il mondo del non-profit, dove la natura diversa della missione richiede uno strumento di misurazione adeguato.

Esatto. Anzi, negli ultimi tempi sta emergendo il tema dell’impatto sociale. La matrice comune è l’esigenza di rendicontare ciò che non è profitto, ma l’impatto sociale valorizza di più la misurazione del cambiamento generato. Per esempio si chiede: se questa organizzazione sociale non fosse esistita, quale sarebbe stato il maggior costo ad esempio a carico della pubblica amministrazione?

In Italia di parla di bilancio sociale ormai da 15 anni. Qual è la situazione attuale rispetto all'uso di questo sistema di misurazione?

C’è una chiara tendenza nazionale a vederlo ancora come un documento autoreferenziale, utile soltanto a dimostrare “quanto sono bravo”: si potrebbe azzardare una percentuale altissima, diciamo il 90% dei casi, e questi dati si rispecchiano anche a livello locale. Visto che l’etichetta di bilancio sociale è un po’ abusata, e usata anche a sproposito, la comunità scientifica ha cominciato a parlare di rendiconto di sostenibilità o di rendiconto integrato. Chi ha saputo cogliere le potenzialità dello strumento è andato avanti e l’ha modificato nel tempo: adesso diverse organizzazioni fanno dei bilanci integrati, che integrano la dimensione economica con quella sociale e ambientale. Effettivamente viene abbastanza naturale: perché separare i due bilanci? Se la misurazione dell’impatto sociale è entrata nel mio sistema di gestione, quando faccio rendicontazione metto tutto insieme. Un esempio interessante in Trentino, anche se non è l’unico, è quello dei supermercati Poli. Loro già dal 2007 fanno un bilancio integrato.

Quali prospettive per il futuro?

Siamo in questa fase di transizione, da un sistema di rendicontazione sociale a un sistema di rendicontazione integrata. E credo che, per come si sta muovendo il pensiero a livello internazionale, questo nuovo step potrà avere anche un impatto a livello giuridico. Probabilmente nei prossimi 20 anni il bilancio integrato diventerà il nuovo standard di rendicontazione.

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