Quei giovani c’insegnano il digiuno digitale

Davanti al dirigente scolastico venti studenti del “Degasperi” di Borgo Valsugana hanno consegnato i loro cellulari. Resteranno muti per una quarantina di giorni, sordi ai mille avvisi sonori che accompagnano le loro e le nostre giornate.

Bella provocazione, quella dei giovani valsuganotti. Per loro stessi, certamente,  “costretti” ad una coerenza autentica “per non fare solo notizia”, ma ancora di più per i loro coetanei, nativi digitali, sfidati dall’impegno di astenersi da un legame fin troppo stretto con l’appendice tecnologica.

Vita Trentina rilancia anche agli adulti la forza dirompente di quest’iniziativa studentesca (chi l’ha detto che la scuola non si salda mai con la vita?) cogliendovi lo stimolo a rivalorizzare il significato del digiuno quaresimale. Che non è mai una pratica fine a se stessa, quasi masochistica, puramente esteriore, bensì un gesto personale e sociale insieme, finalizzato a liberarsi dalle cose che ci soffocano, per rendersi disponibili a Dio e assumerne lo stile. Lo sottolinea appoggiandosi alla Sacra Scrittura il nostro liturgista don Giulio Viviani in uno studio pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana (“Perché digiunare se tu non lo vedi?” il titolo ripreso dal brano del profeta Isaia) che illustra la spiritualità del digiuno, il suo stretto legame alla preghiera e alla carità, la sua finalità solidale. Con fantasia pastorale, ri-valorizzando nel giusto modo le modalità tradizionali, il testo segnala anche l’efficacia di un’astinenza dalla dipendenza tecnologica, come invita lo stesso mons. Luigi Bressan nella sua lettera quaresimale (vedi VT. n 7).

“Staccare” per 40 giorni l’appuntamento fisso e ripetitivo con la finestra Facebook aperta sul computer o sullo smartphone rappresenta un impegno ascetico forse più esigente di molti altri. Lo conferma lo stupore con cui tanti suoi parrocchiani hanno reagito alla scelta di digiuno quaresimale digitale avviata poche settimane fa da don Vincenzo Lupoli, motivata a fondo nel colloquio con Marco Mazzurana a pag. 5. “E’ lo smartphone fatto per l’uomo o viceversa?” c’interroga don Vincenzo, senza sminuirne l’utilità ma evidenziando i rischi di dipendenza, perdita di rapporti con la vita reale, chiusura solitaria, esposizione degli aspetti più riservati della persona.

Non dovrebbe sembrare un’astinenza dal valore terapeutica o una tiritera da neobigotti, se è vero che anche tanti maestri del pensiero laico contemporaneo stigmatizzano la schiavitù tecnologica, che imprigiona a sua volta le relazioni, il silenzio, l’a tu per tu.

Ricorriamo allora allo scrittore e semiologo Umberto Eco, super citato in questi giorni dopo la sua scomparsa. Fu anche consultato dall'Arcivscovo Carlo Maria Martini sui temi della comunicazione (“Avrei voluta scriverla io una lettera pastorale”, la confidenza di Eco al card. Ravasi) e denunciò l’invasione dei social network. Proprio sulla sindrome da telefonino Eco si chiedeva come spiegare “il fatto che quasi tutta l’umanità sia stata presa dalla stessa frenesia e non abbia più rapporti faccia a faccia, non guardi il paesaggio, non rifletta sulla vita e sulla morte, bensì parli ossessivamente, quasi sempre senza avere nulla di urgente da dire, consumando la propria vita in un dialogo tra non vedenti”. Nella stesso articolo si rispondeva che all’origine di questo desiderio spasmodico c’è soprattutto “la fretta” dell’uomo contemporaneo, “la fiducia che la tecnologia ti possa dare tutto e subito”. Ecco altri idoli che potremo combattere con un vero digiuno quaresimale.

Diego Andreatta

fdsfdo.

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