Fuori dal guscio

Al Museo diocesano l'installazione che racconta l'esperienza quotidiana di genitori e fratelli di bambini disabili

Maternage è "la vita, una brezza, un brivido. L'abisso e l'ascesa". Si possono condensare in queste parole le emozioni racchiuse nelle tre stanze che attraverso immagini, suoni e odori svelano la ricchezza di "Maternage. Tracce di un viaggio", una mostra che è non solo opera d'arte e installazione, ma percorso fisico, emotivo, sensoriale, conoscitivo sul tema della disabilità, inaugurato sabato 19 marzo al Museo Diocesano Tridentino. Nata da un progetto dell'Associazione “l'abilità Onlus” di Milano (www.labilita.org), che da vent'anni si prende cura di famiglie in cui nasce un figlio disabile, e dall'intuizione dell'artista Laura Morelli, l'esposizione è approdata a Trento dopo il successo ottenuto nei mesi scorsi al Museo Diocesano di Milano e si potrà visitare fino al 23 maggio 2016.

"Per noi è una doppia sfida: parlare di disabilità e farlo attraverso il linguaggio dell'arte contemporanea", ha esordito la direttrice Domenica Primerano ringraziando il direttore dell'associazione milanese Carlo Riva per la collaborazione proficuamente instauratasi. "Il titolo scelto è significativamente evocativo, si diventa madri fisicamente, ma diventare materni significa far crescere", ha detto nel suo saluto l'arcivescovo Luigi Bressan.

"Il senso di tale iniziativa è promuovere una nuova cultura della disabilità, avvicinandosi alle voci di mamme e papà che raccontano la quotidianità della disabilità infantile. Abbiamo chiesto loro di riempire valigie per un viaggio a cui non erano preparati con gli oggetti che li aiutavano a vivere o sopravvivere", ha spiegato Riva, sottolineando che diventare genitori di un bambino disabile è un evento inaspettato e traumatico che travolge la coppia e incide profondamente sull'essere padre e madre, sulla relazione con altri figli, anch'essi chiamati a vivere in modo diverso il rapporto fraterno, e con la comunità. "Dopo un anno ne abbiamo raccolto 50, le abbiamo aperte con Laura trovando in esse speranze, lacrime, disperazione, risate, le mille sfaccettature che caratterizzano la vita quotidiana di ognuno di noi e abbiamo capito che la cura del figlio non ha minato il ruolo di genitori ma ha generato una riflessione più ampia sul senso della vita e della morte".

"Maternage" è una parola francese che indica la propensione alla cura del bambino e che travalica i generi e come ha ricordato Laura Borghetto, presidente de l'abilità, "è un'occasione per scoprire bellezza dove c'è sofferenza ed è una parola pensata anche per i papà".

"Era un argomento che non conoscevo così mi sono messa in ascolto, lasciando le famiglie libere di dire quello che volevano", ha spiegato Morelli raccontando la genesi di un'opera corale che è "un crocevia, una sosta per padri e madri nelle spire della diversità".

"Ho scelto questo titolo – ha proseguito – perché è anche una riflessione sui ruoli di genere all'interno della famiglia. Più raccontavano, più capivo che il ruolo maschile e femminile è diverso da quello tradizionalmente inteso: l'essere maschile è contenitore di lacrime, tenerezza, passione, l'essere femminile è contenitore di problem-solving, di sguardi arrabbiati, di liste di interminabili pratiche burocratiche".

L'artista ha valorizzato la qualità delle parole ascoltate – "chi sperimenta il dolore asciuga le parole, ma quelle dette hanno un peso specifico elevato" – e il percorso proposto ne prevede una progressiva riduzione fino al silenzio che riveste gli oggetti di significato. Nella prima stanza vi sono le parole pubbliche che parlano di infanzia accompagnando oggetti stesi su un tappeto di zucchero a velo e spezie con frasi significative: "Siamo come fiori cresciuti sulla nuda roccia, più ci sferza il vento più affondiamo le nostre radici".

Nella seconda, si possono ascoltare le parole private dello "sguardo senza veli" grazie alle cuffie che trasmettono le voci di mamme, papà, fratelli e sorelle come se provenissero dalla sfera specchiante sospesa su un letto di cipolle, evocante l'intimità sofferente condivisa del guscio familiare che si apre allo sguardo della comunità. Nell'ultima stanza sono state raccolte le valigie e viene data la possibilità ai visitatori di contribuire alla realizzazione della mostra rispondendo alla domanda "cosa ti aiuta a vivere nei momenti difficili?". "Sapere che la vita è bella e vale la pena di viverla" è solo una delle risposte che bucano il muro di un'esperienza dolorosa ma generativa, scorrendo sullo schermo in un flusso dinamico e vitale in cui inserire la propria.

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