Primo maggio: esigenza di un’ecologia integrale

In vista del Primo Maggio, il richiamo annuale del Parco dei Mestieri della montagna, c'invita a ripensare concettualmente oggi il lavoro nei territori montani. Significa riesaminare il sistema montano economia/ambiente sotto il profilo di due ordini di tecniche: da una parte, le tecniche di produzione,  mediante le quali sono regolati i rapporti fra l’uomo e l’ambiente, e, da un’altra parte, le tecniche di controllo territoriale, con le quali sono fissati i rapporti degli uomini tra di loro e si rende conto del dominio più o meno esteso dello spazio.

La montagna va riconosciuta come parte di un sistema in continua evoluzione: secondo l’ecologia, “i viventi modificano l’ambiente naturale e, a sua volta, l’ambiente modificato costringe i viventi ad adattarsi per poter sopravvivere e moltiplicarsi”; secondo l’economia, “il sistema sociale conserva l’ecosistema e l’ecosistema assicura le basi dello sviluppo del sistema sociale”. Si tratta quindi di tener conto degli sviluppi della tecnologia e dei modelli di sviluppo proposti per i territori della montagna considerati come ecosistemi.

Da una parte, il modello di sviluppo produttivista, basato principalmente sul capitale finanziario, risultato della teoria economica dominante o “economicismo”, nel quale, per un verso, le caratteristiche fisiche del territorio sono rilette unicamente come risorse apprezzate dal mercato e lo spazio è disegnato dal tessuto di relazioni e di scambi che i sistemi delle unità di produzione e di quelle di consumo intrattengono anche con realtà esterne al territorio di insediamento; per un altro verso, il concetto di capitale coincide con quello di patrimonio, quale fattore di produzione e apportatore di reddito secondo la concezione comune (ovvero patrimonio come dimensione materiale della personalità giuridica, nasce con la persona e scompare con essa; valutabile in moneta, è destinato ad evolvere e possibilmente ad aumentare).

Da un’altra parte, il modello di sviluppo fondato su identità e patrimoni collettivi, nel quale si fa riferimento ad un duplice contenuto di patrimonio: da una parte, alla nozione di dominio spaziale (il territorio montano come base territoriale di risorse naturali) e, da un’altra parte, all’insieme di beni e di risorse immateriali, riconoscibile nella memoria diffusa nella collettività locale. In definitiva, beni e risorse ereditati dagli ascendenti e suscettibili di essere trasmessi ai successori, privilegiando una linea o una destinazione.

Se entrambi i modelli possono anche convivere nello stesso territorio, la distinzione deve spingere ad approfondire l’analisi. Si tratta di comprendere meglio come il patrimonio non possa essere assimilato al capitale, in primo luogo, a ragione del suo riferimento alla durata (carattere intergenerazionale) e all’appartenenza (ad una collettività locale in continuo mutamento); in secondo luogo, per il fatto che comprende elementi non commerciali; in terzo luogo, perché non è riconducibile in un sistema contabile basato su valori monetari. Sembra quindi potersi affermare che non si gestisce un patrimonio esattamente alla stessa maniera con cui si gestisce un capitale: si gestisce un capitale per aumentarlo, si gestisce un patrimonio per trasmetterlo.

Se nelle politiche di sviluppo sostenibile si fa riferimento a categorie diverse (capitale finanziario, tecnico, umano, sociale…) la distinzione tra capitale e patrimonio è essenziale  in quanto alcuni tipi di capitale sono suscettibili di trasferimento (quello finanziario, tecnico, ecc.), mentre il capitale naturale e la catena che salvaguarda la memoria sono elementi stabili del territorio. Ragion per cui identità e patrimoni collettivi vanno riconosciuti come le nuove risorse per lo sviluppo sostenibile ed, altresì, durevole del territorio.È in questa dimensione spaziale che la modificazione delle categorie di spazio e di tempo fa emergere oggi una forte domanda “futuro” per orientarsi, vivere, assimilare e produrre valori e comportamenti suscettibili di creare socialità e coesione nell’ambiente circoscritto nel quale si opera e si vive.

Così, dopo l’Enciclica “Laudato sì” del 2015, l’analisi dei problemi ambientali non può essere separata “dall’analisi dei contesti umani, familiari, lavorativi, urbani, e della relazione di ciascuna persona con se stessa, che genera un determinato modo di relazionarsi con gli altri e con l’ambiente”. Quindi l’ambiente va protetto come elemento determinativo della qualità della vita. La sua protezione non persegue astratte finalità naturalistiche o estetizzanti, ma esprime l’esigenza di un habitat naturale che è necessario all’umanità nel quale i viventi vivono ed agiscono. I due ordini di tecniche con cui abbiamo avviato le nostre considerazione vanno allora ripensate per realizzare la proposta di un’ecologia integrale ed un’economia antropologica: vale a dire realizzare attraverso unità di tutela e valorizzazione del patrimonio naturale un ambiente vivo, vitale, vivibile. Questo ripensamento, secondo Papa Francesco, “richiede apertura verso categorie che trascendono il linguaggio delle scienze esatte o della biologia e ci collegano con l’essenza dell’uomo” (Laudato Sì’, n. 11).

Pietro Nervi°

°docente presso l'Università di Trento

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina