Giugno 1946: la bussola che indica il futuro

2 giugno 1946. Si vota per il referendum istituzionale che propone la scelta tra monarchia e repubblica e per l’elezione dei rappresentanti all’Assemblea costituente. Nella circoscrizione di Trento gli elettori sono 261.645. Si recano alle urne 238.195 votanti, pari al 91,04% degli aventi diritto. L’85% dei suffragi (la percentuale più alta in Italia) andrà in favore della scelta repubblicana. Dei 4 seggi disponibili, 3 andranno alla DC (che otterrà il 57% dei voti eleggendo Alcide Degasperi, Luigi Carbonari ed Elsa Conci) e uno al PSIUP (Gigino Battisti con il 27%).

Il 5 settembre successivo la firma dell’accordo di Parigi tra Degasperi e il ministro degli esteri austriaco Gruber, inserito come allegato nel trattato di pace del 10 febbraio 1947, che avrebbe garantito la tutela delle minoranze di lingua tedesca e l’autonomia nel quadro della regione.

Il 27 giugno del ’47 l’Assemblea approvava l’articolo 116 della Costituzione che istituiva cinque regioni con speciale autonomia. Il testo dello Statuto del Trentino Alto Adige venne discusso ed approvato il 29 gennaio 1948, diventando la legge costituzionale n. 5 promulgata il 26 febbraio. Si apriva, in questo modo e dopo tante attese, la stagione dell’autonomia regionale.

Con questi numeri, queste percentuali e questi passaggi politici e legislativi prendeva avvio, anche per il Trentino, il periodo repubblicano. Un inizio caratterizzato dal ritorno alla democrazia, dalla ricostruzione materiale dai danni della guerra e da quella civile e morale per la convivenza interetnica (minata da decenni di propaganda nazionalista), dalla prospettiva di partecipare responsabilmente alla vita e allo sviluppo della propria terra e della nazione secondo i principi sanciti dalla Costituzione, nel quadro di una “repubblica democratica fondata sul lavoro”.

Pur nascendo col concorso e la cooperazione delle grandi tradizioni politico-culturali delle democrazie occidentali, la legge fondamentale dello stato repubblicano trovava la sua fonte più ricca in materia di valori nel personalismo di ispirazione cristiana, al quale si ispiravano i giuristi ed i legislatori cattolici che sedevano nell’Assemblea e che si riconoscevano nei documenti programmatici redatti in clandestinità negli anni precedenti per stabilire le linee di sviluppo democratico del Paese. Valori che si traducevano nel riconoscimento della persona e dei suoi diritti come fulcro dell’ordinamento e criterio guida nell’azione dei poteri pubblici; e ancora il principio solidaristico, la sussidiarietà, il controllo reciproco tra poteri dello Stato, il riconoscimento delle formazioni sociali intermedie in cui si "svolge la personalità" del singolo, con il fondamentale compito di frapporsi tra Stato e cittadino, per permettere a questo di esprimere al meglio la sua partecipazione alla comunità.

Passaggi e scelte politiche, uomini e documenti alla base di settant’anni di una vicenda nazionale complessa, dinamica, spesso contraddittoria, ma sempre garantita dal libero dibattito democratico.

Se dunque la Costituzione è una sorta di bussola che orienta il cammino di un popolo, il dibattito sulle importanti modifiche costituzionali sottoposte a referendum confermativo nel prossimo ottobre deve fin d’ora essere accompagnato da un confronto serio e maturo non solo fra le forze politiche, ma presso tutte le componenti della società civile. In primis presso quei corpi intermedi la cui crisi si dimostra nella diffusa mancanza di tensione partecipativa e nel progressivo disinteresse per le istituzioni. A settanta anni dal tempo che segnò il futuro dell’Italia democratica e repubblicana.

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