Rosmini e l’amicizia d’“intelletto”

“Antonio Rosmini aveva un alto concetto dell'amicizia, che concepiva come caritas, ovvero dono totale di sé, e che distingueva costantemente dalla benevolenza.” Così ha iniziato la sua relazione padre Mario Pangallo, in occasione dell'incontro “Il giovane Rosmini e le sue amicizie roveretane”, tenutosi a Rovereto presso Casa natale Rosmini, lo scorso 15 giugno, e organizzato dalla Biblioteca rosminiana, dal Centro di studi e ricerche “A. Rosmini” e dall'Accademia roveretana degli Agiati. “Per il filosofo roveretano – ha proseguito padre Mario – la benevolenza è una condivisione, che porta a raggiungere dei beni, come obiettivo comune, di cui tutti indistintamente partecipano; mentre nell'amicizia il bene più grande è potersi donare totalmente senza attendersi nulla in cambio”. Il beato Rosmini, di cui il primo luglio torna la ricorrenza liturgica, non si limitava a teorizzare, ma visse coerentemente l'amicizia per tutta la vita fin dalla prima giovinezza, come emerge dalle sue lettere. L'incontro, coordinato da Michele Dossi, è servito a presentare il primo volume della serie “Antonio Rosmini, Lettere”, contenente 151 scritti dal 2 giugno 1813 al 19 novembre 1816. L'opera, curata da Luciano Malusa e Stefania Zanardi, è l'inizio di quella che dovrebbe diventare un'ampia edizione critica dell'epistolario completo del fondatore dell'Istituto della Carità. Secondo il prof. Malusa, docente all'Università di Genova, tra i relatori della serata, si dovrebbero calcolare circa novemila lettere. Sta per uscire anche il secondo volume del periodo universitario trascorso a Padova. La prima lettera di Antonio, nota ai posteri, data 2 giugno 1813 – aveva sedici anni – è indirizzata all'amico don Simone Michele Tevini, di sei anni più vecchio, all'epoca studente in Seminario. In questi primi scritti già emergono le doti, le virtù, i molteplici interessi e la grande passione per la conoscenza, non comuni in quell'età e che lo accompagneranno per tutta la vita. In un'amicizia a tre, che vedeva anche un coetaneo del Tevini, don Luigi Sonn, il giovanissimo Antonio era entusiasta al pensiero di dar vita ad un'Accademia intitolata a Clementino Vannetti, di cui abbozzò il regolamento. “Scrisse le regole con quell'attitudine organizzativa che avrebbe in seguito usato per comporre il regolamento del suo istituto religioso”, ha evidenziato il terzo relatore, Marcello Bonazza dell'Accademia degli Agiati. Era infervorato per la nascita della lingua italiana e avrebbe voluto partecipare alla realizzazione di un dizionario che completasse il lavoro del purista Antonio Cesari. Sorprendente – e certamente strana per la nostra epoca – la stretta, sincera e calorosa amicizia che iniziò da allievo con il suo maestro, don Pietro Orsi, grande e dotto personaggio, che fu anche prefetto del ginnasio roveretano. Don Pietro avviò il giovane Antonio allo studio della fisica, della matematica e della filosofia. Il Rosmini fu riconoscente e lo ebbe sempre in grande stima per quelle sue doti di insegnante che lasciavano un segno profondo nelle giovani generazioni, anche quando il loro rapporto sembrò incrinarsi.

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