L’alleato americano?

Grande dibattito sull’appoggio che Obama ha tributato in modo assai enfatico a Matteo Renzi, soprattutto per il sostegno al sì nel referendum costituzionale. Nel clima sempre più avvelenato e grossolano di questi mesi si è tornati a battere il tasto delle “ingerenze” americane nella nostra politica interna. Argomento di facile presa con chi non sa come funziona il mondo, ma fragilissimo in sé: le grandi potenze si sono sempre nella storia interessate di quel che avveniva intorno, per la semplice ragione che sanno benissimo che è tutto connesso.

Anche quest’ultima vicenda va letta in questa chiave. Gli USA, ma probabilmente non solo loro, sono preoccupati di una possibile instabilità italiana e vedono nel governo Renzi la sola forza in campo capace di reggere questo passaggio difficile. E’ di fatto un giudizio pesante sul nostro paese, perché si continua ad interpretarlo come un paese debole, continua preda di lotte di fazioni senza senso, per cui l’unica speranza è avere un leader sufficientemente dinamico e forte per impedire questa disgregazione. Il giudizio è in parte un pregiudizio e chi ha qualche frequentazione delle analisi diplomatiche dei grandi paesi sull’Italia, anche risalendo molto indietro nel tempo, sa bene quanto ciò che diciamo sia fondato.

Questo spiega il fascino che all’estero hanno sempre suscitato in un primo momento quelli che per semplificare chiameremo i “decisionisti”: è successo purtroppo col primo Mussolini, ma poi in senso positivo con De Gasperi, in senso più ambiguo con Fanfani, Craxi e persino col primo Berlusconi. Oggi non può stupire che si guardi con simpatia a Renzi che ha mandato all’aria lo stagnante equilibrio delle fazioni italiane e persino quello interno al PD partendo da una posizione di assoluto outsider: una caratteristica che piace molto, perché contrasta con l’idea di un paese in cui si fa molta fatica a farsi strada da soli.

Dunque invece di perdere tempo a discutere se Obama avesse o meno il diritto di manifestare il suo apprezzamento per Renzi e di farlo fino al punto di sostenerlo nella battaglia referendaria, converrebbe concentrarsi a capire perché questo sia avvenuto e se l’analisi che sta alla base di questa presa di posizione sia fondata.

La risposta è relativamente semplice. Gli osservatori internazionali non sono interessati a valutare se la riforma Renzi-Boschi sia o meno una bella riforma, ma si chiedono se la liquidazione politica di Renzi a cui mira, consapevolmente o senza capirlo, il fronte del “no”, possa essere vista come una normale battaglia politica al termine della quale ci sarà comunque un vincitore con cui rapportarsi o se debba essere percepita come uno scontro destabilizzante per cui se Renzi perdesse la leadership si andrebbe incontro ad un periodo di lunghe e poco fruttifere lotte intestine alle classi dirigenti italiane.

L’analisi degli osservatori stranieri pende per la seconda ipotesi ed è difficile dargli torto. Dal punto di vista degli USA con le due instabilità esterne che li preoccupano, quella mediorientale (specialmente in Libia) e quella dell’Unione Europea, un sistema pastrocchio che arriverebbe dopo Renzi, dove convivono M5S, Salvini che vuol uscire dalla Nato, Berlusconi che non sa che fare, l’estrema sinistra che non si libera dai vecchi schematismi, è un autentico incubo. C’è bisogno di un’Italia che possa continuare ad essere un partner attivo nello scenario che abbiamo descritto.

Non si pensi che ciò significhi che questi analisti non colgano le debolezze di Renzi. Il solo fatto che alla vigilia della prova referendaria abbia dovuto mettere mano ad una legge finanziaria in cui ci sono molte misure piuttosto populiste, una certa incapacità del leader di uscire dalle cerchie dei suoi sodali per selezionare classe dirigente, persino una tendenza a rispondere al populismo con un populismo di colore diverso, sono ben presenti e non particolarmente apprezzati. Ma nelle analisi prevale il realismo e non si fanno auspici su cosa sarebbe il meglio in astratto, ma valutazioni su ciò che è meglio fra le alternative in campo.

Di qui il messaggio chiaro alle elite dirigenti italiane: concentratevi a migliorare e a consolidare la svolta messa in campo da Renzi. Obama sa benissimo che per quel che riguarda il voto popolare al referendum il suo appello pesa pochissimo e forse è persino controproducente, ma non è quello il suo interlocutore. Vedremo se invece chi è destinatario del messaggio, in primis quei cosiddetti “moderati” in cui è ancora presente la tentazione di sbarazzarsi di Renzi, capiranno l’antifona.

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