L’Italia balla sui flutti europei

Il nostro governo non sembra avere una chiara visione di quale possa essere il suo futuro nella rissosa Unione che si profila

Spiegare quel che sta succedendo a Bruxelles è al tempo stesso semplice e maledettamente complicato. Semplice, perché si registra il crollo di un vecchio modo di fare politica comunitaria, nonostante la non-vittoria dei movimenti sovranisti.

Maledettamente complicato, perché nella confusione attuale si mescolano miopie nazionaliste, assenza di visioni sul futuro, egoismi di leader che non riescono a fare il bello e il cattivo tempo: tutti mali che hanno radici lontane ignorate per troppo tempo.

L’Italia in questo marasma cerca di sfruttare la situazione, anch’essa però senza una chiara visione di quale possa essere il suo futuro nella rissosa Unione che si profila. Partito in posizione sfavorevole per la minaccia di avvio nei suoi confronti di una procedura d’infrazione per debito eccessivo, il nostro governo si è trovato a poter contare su due contingenze favorevoli. La prima è la possibilità di offrire una correzione di rotta sui nostri impegni finanziari grazie a un complesso di circostanze (risparmi sulle risorse da impiegare in alcune riforme come quota 100 e reddito di cittadinanza; entrate impreviste sul fronte fiscale e possibilità di attingere a qualche risorsa come i dividendi di Cassa Depositi e Prestiti e Banca d’Italia; qualche progresso sul fronte economico con un andamento migliore dell’occupazione). Il tutto confermato con un assestamento di bilancio (peraltro non votato, per assenza, dai due vicepremier). La seconda contingenza è la crisi della leadership franco-tedesca che ha scatenato la voglia di protagonismo dei paesi dell’Europa dell’Est e anche di altri più piccoli (tipo l’Irlanda, preoccupata per la Brexit). Così grazie alla prima è divenuto più difficile per i falchi della Commissione spingere sul pedale della procedura d’infrazione, una strada fra il resto rischiosa per la tenuta dell’intero sistema; grazie alla seconda è stato possibile ritrovare uno spazio di presenza italiana dietro le quinte dei grandi negoziati.

Basterà per tirare fuori l’Italia da una situazione di isolamento? Temiamo di no, perché ormai la guerra nella UE è divenuta globale e il nostro paese non riesce a darsi una guida unitaria e autorevole. La disgraziata vicenda della nave Sea Watch 3 è emblematica. In astratto c’erano molte ragioni per non consentire che una organizzazione privata si permettesse di porsi al di sopra della nostra legislazione. In concreto, grazie alle irresponsabili intemerate di Salvini che non sa esprimersi se non per paradossi e provocazioni, è accaduto che altri paesi, assai poco credibili come interessati a risolvere il tema dei flussi migratori come per esempio Francia e Germania, potessero profittare della situazione per parlare a vanvera di diritti umanitari (sostenuti, va detto, da una parte di stampa e TV, nonché da parlamentari PD e altri personaggi in cerca di palcoscenico visto che di meglio non sanno fare).

Siamo così in presenza di una situazione che si fa di giorno in giorno più confusa. In Europa ci troviamo a sostenere una battaglia in cui non sappiamo più su che alleati contare: se il nostro premier pensa che lo aiuteranno il 10 paesi con cui si è alleato per contenere lo strapotere supponente di Macron e della Merkel si sbaglia di grosso. Conte però nell’ultima fase è stato più prudente ed ha diminuito il senso della sua partecipazione a quel cartello, declassandola, se così si può dire, a legittimo moto di insoddisfazione per il tentativo franco-tedesco di comandare da soli.

A casa nostra però il premier è ben lontano dal poter esibire una capacità di controllo sui suoi due vice che fanno politica ciascuno per conto proprio. Sulla questione della procedura d’infrazione ha probabilmente vinto una battaglia, grazie anche alla copertura autorevole di Mattarella, ma non sappiamo ancora se vincerà la guerra. La questione non riguarda infatti tanto il bilancio 2019 sistemato grazie alle fortunate contingenze a cui abbiamo fatto cenno, ma il bilancio preventivo 2020 per il quale non si vedono ancora le coperture per alcune importanti falle e per il finanziamento di alcune manovre a cui i due partiti di maggioranza non vogliono rinunciare: i miliardi per evitare che scatti la clausola di salvaguardia con l’aumento dell’Iva, la riforma fiscale (la si chiami o meno flat tax) e il salario minimo con riduzione del cuneo fiscale sui salari che pagano le aziende sono questioni a dir pocvo scottanti.

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