“Francesco ci vuole attivi”

Davanti al “dovere della pace” indicato dal Papa, le reazioni a caldo di alcuni trentini impegnati da anni per una cultura della nonviolenza

La proposta di Papa Francesco nel Messaggio per il primo gennaio 2017 viene accolta come stimolo a proseguire nell'impegno da parte di chi anche nella società civile trentina si adopera, in ambiti diversi, nel diffondere la cultura della pace e della giustizia sociale.

Nella sua riflessione Massimiliano Pilati, presidente del Forum trentino per la pace e i diritti umani evoca la frase “La nonviolenza è il varco attuale della storia” di Aldo Capitini, filosofo, antifascista e fondatore del Movimento Nonviolento. “Proprio come Capitini, anche Papa Francesco ha voluto scrivere nonviolenza come una unica parola, evidenziandone l'aspetto costruttivo insegnatoci dal Mahatma Gandhi con il suo metodo Satyagraha. Finalmente un messaggio radicale – prosegue Pilati – che fa preciso riferimento alla “nonviolenza attiva” di Gandhi, Ghaffar Khan, Luther King e indica una direzione chiara alla politica: il disarmo, convenzionale e nucleare, e l'adozione di precise strategie nonviolente. Non è uno dei tanti documenti inneggianti ad una generica Pace. La nonviolenza, ci scrive il Papa, parte da una presa di coscienza personale all’interno della famiglia indicandola poi però chiaramente come fondamentale sfida per i responsabili delle istituzioni internazionali “a costruire la società, la comunità o l’impresa di cui sono responsabili con lo stile degli operatori di pace”.

Secondo Pilato, “questo elemento è dirimente: la nonviolenza non è più solo una (seppur importante) strada per la salvezza di un singolo individuo ma è (per tornare alla parole di Capitini) “il varco attuale della storia” indicato come vero e proprio metodo di azione politica fra le Nazioni. Partendo dai molti leader politici e economici che si professano fortemente credenti, speriamo che il documento di Francesco venga preso seriamente e si cominci realmente “a diventare persone che hanno bandito dal loro cuore, dalle loro parole e dai loro gesti la violenza, e a costruire comunità nonviolente, che si prendono cura della casa comune”.

Anche Giampiero Girardi, direttore dell’Ufficio giovani e servizio civile della Pat sottolinea tra gli aspetti più innovativi l’uso grafico di “nonviolenza” come unica parola. “Molti, infatti, scrivono “non violenza”, tenendo disgiunti i due termini. Come facevano gli inglesi occupanti l’India, che avevano coniato il termine non violence per indicare spregiativamente l’azione di Gandhi.

Questa non è una notazione puntigliosamente linguistica. È un approccio specifico e una visione del mondo.

Parlando di nonviolenza si intende sottolineare il suo carattere positivo e propositivo: non si tratta, infatti, del semplice rifiuto della violenza ma anche della ricerca di una nuova soluzione sia tramite una metodologia d’azione sia uno stile di vita”. Girardi, studioso del movimento non violento, aggiunge che “già Aldo Capitini, padre della nonviolenza italiana, sosteneva che: “Se si scrive in una sola parola, si prepara l'interpretazione della nonviolenza come di qualche cosa di organico e, dunque, di positivo”. La diffusione del termine nonviolenza si è imposta per distinguere una teoria e una prassi, che ― pur avendo addentellati con il pacifismo ― se ne distingue rimarcando una differenza sostanziale: la nonviolenza non è il semplice rifiuto della guerra, ma è una pace positiva, costruttiva”.

Per Alberto Conci, docente di religione, storico della filosofia e impegnato nei temi dell'educazione alla pace e alla cittadinanza, la scelta della nonviolenza risponde a tre caratteristiche del pontificato di Papa Francesco. “La prima è l’urgenza di porre fine alla violenza e all’ingiustizia. Il richiamo alla terza guerra mondiale, la denuncia della sofferenza delle vittime, l’indignazione di fronte alla crudeltà hanno il tono dell’appello profetico alla conversione: il tempo stringe, occorre non attardarsi e operare il bene, perché il dolore delle vittime grida contro la prudenza degli indecisi. La seconda è quella della parresia, che nella Chiesa primitiva indica la franchezza, la parola aperta e che nasce da una domanda: come camminare nella sequela di Gesù ed essere testimoni dell’amore? Qui Francesco invita a riscoprire il cuore nonviolento del messaggio evangelico e a farne il perno dell’agire politico. Infine il dialogo con tutti, che è la pratica della nonviolenza. Francesco è il Papa del primo passo, compiuto mettendosi sempre alle spalle ciò che potrebbe dividere per cercare il volto dell’altro e tendergli la mano. Per chi ha a cuore il bene dell’umanità è la strada da percorrere”.

Il forte richiamo al ruolo educativo della famiglia interpella anche gli operatori della pastorale diocesana. “Il Papa parla di una società insidiata da una guerra mondiale a pezzi che colpisce in modi e a livelli diversi – osservano i coniugi Lorena e Stefano Girardi, direttori della Pastorale Famiglia in Diocesi – e per analogia ci viene da pensare che sia un po’ così anche per le nostre famiglie. Pensiamo, solo per fare un esempio, alle notizie che ci colpiscono nel profondo quando la famiglia, quella che dovrebbe essere la culla dell’amore, ne diventa tragicamente la morte, con episodi di sopraffazione e di violenza”. L’educazione alla pace scrive Papa Francesco inizia in famiglia “che non è di per sé un luogo di pace – proseguono – ma è un luogo di relazioni, e queste possono essere sane e generare pace, oppure malate e generare scontri. Solitamente sono un bel miscuglio di tutte e due le tipologie”. Quindi educare alla pace cosa vuol dire, come si sviluppa? “Significa educare alla relazione, alla giusta comunicazione fra due soggetti. Non vuol dire evitare i conflitti, ma riconoscerli ed affrontarli in modo equilibrato: imparare a riconoscere le emozioni ed agire con coscienza di esse. A mantenere il rispetto dell’altro anche quando sbaglia, a provare l’esperienza del perdono, senza imporlo, un po’ alla volta fin quando ci si riesce, e viceversa imparare a chiederlo. Tutto è più facile se questo agire è già attivo fra gli adulti della famiglia, le parole contano poco di fronte ai fatti”. Il Papa, infatti parla di “Nonviolenza attiva”. Come si traduce? “Essere attivi vuol dire crescere nelle esperienze di relazione in coppia, in famiglia, tra famiglie e nell’intera comunità. Quindi agire affinché nei nostri ambienti non manchino occasioni di incontri veri fra famiglie che insieme possano costruire situazioni di conoscenza reciproca dove star bene insieme, dove i figli possano far esperienza di una “pace allargata” ed imparare che non è solo una favola natalizia, la pace esiste veramente”.

Sono parole di incoraggiamento quelle del Papa per chi si mette al fianco delle vittime d’ingiustizia della guerra e della violenza. Come nel caso dei volontari di Operazione Colomba, che condividono concretamente la loro vita in Colombia, Palestina, Albania, in Libano (ma anche a Villa San Nicolò di Trento) con i profughi siriani. “Il Papa ci ricorda che non esiste una violenza giusta – commenta Fabrizio Bettini, referente trentino per Operazione Colomba – e che le vittime della violenza, proprio perché l’hanno vissuta sulla loro pelle, possono essere protagonisti di una risoluzione nonviolenta dei conflitti. E questo processo di riconciliazione lo sperimentiamo vivendo al fianco di contadini colombiani membri della Comunità di Pace di San Josè de Apartadò che, nel conflitto colombiano hanno deciso di non collaborare con nessuna delle parti armate; ce lo ricordano gli abitanti di At-Tuwani, piccolo paesino a sud di Hebron in Palestina, che da anni rispondono con azioni nonviolente ai soprusi dell’occupazione militare. Spesso, quando i loro olivi sono abbattuti, li ripiantano come segno di resistenza e di speranza nella Pace. Anche i profughi siriani con i quali viviamo in Libano ci raccontano che nella loro lotta la violenza non è stata efficace e si sono impegnati per far sentire la loro voce a chi la guerra la fa. In Albania abbiamo padri e madri che hanno visto uccidere i loro figli in nome di un onore da riscattare che soffrono questa perdita ma che allo stesso tempo non vogliono vendetta ma chiedono giustizia. Inoltre, come in altre occasioni, il Papa è molto esplicito nel denunciare le grandi quantità di risorse destinate alle armi e allo strumento militare a scapito della maggioranza degli abitanti del mondo. Negli anni le azioni nonviolente e gruppi come Operazione Colomba hanno dimostrato di essere efficaci e di “costare poco”. Quattro presenze all’estero e tutto quello che serve a supportarle dall’Italia ci costa come un unica blinda utilizzata dall’esercito in missioni all’estero. Infine, la considerazione che il Papa ha per chi mette la propria vita al servizio di chi è vittima ci fa capire come le azioni nonviolente siano nel suo cuore e anche nelle sue preghiere”. Per Bettini il Papa stimola tutti, non solo i ‘volontari’ ad essere protagonisti di questa ‘rivoluzione cristiana’ perché la nonviolenza è la forza dei poveri, delle vittime, dei deboli è la forza che trasforma il male in bene e la rabbia in energia. Nessuno può allora esimersi dall’impegnarsi per la pace, in famiglia, nel nostro territorio e nel mondo”.

Significativo il passaggio in cui Bergoglio ribadisce con forza che “Nessuna religione è terrorista”. “Universalmente condivisibile – è il commento per noi di Nibras Breigheche, membro dell’Associazione islamica italiana dell’imam e delle guide religiose, precisando come “la ‘Pace’, il ‘Clemente, ‘Il Misericordioso’, ‘Il Perdonatore’, ‘Il Generoso’, siano alcuni dei novantanove ‘Bellissimi Nomi’ di Dio (in arabo Allah) frequentemente menzionati nel Corano. Conoscere gli Attributi di Dio, per un musulmano, non significa fare un mero esercizio mnemonico, ma tradurre questa conoscenza in azioni concrete che portano all’avvicinamento a Dio, tramite il perdono, ad esempio, e il sostegno morale e materiale non solo ai propri cari e ai propri vicini ma a qualsiasi persona bisognosa. È per questo che abbiamo fondato qualche anno fa l’associazione “Insieme per la Siria Libera”, tramite la quale abbiamo fatto arrivare nei campi profughi della martoriata Siria 18 container carichi di alimenti, medicinali e altri beni di prima necessità. Grazie al contributo di tante persone, tra cui tante donne, di varie nazionalità e appartenenze religiose, tra cui anche tanti italiani e tanti Trentini, stiamo portando avanti diversi progetti di sostegno umanitario: abbiamo ad es. finanziato e continuiamo a finanziare una clinica pediatrica e una scuola all’interno della Siria, per permettere a chi è sopravvissuto al genocidio in corso, e di non essere privato dei più elementari diritti umani tra cui anche il diritto a ricevere cure mediche e il diritto all’istruzione”.

(a cura di Antonella Carlin)

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