“Lo sport? Un ponte…”

Lo conferma una ricerca dell'ATAS, Associazione Trentina Accoglienza Stranieri, che si è concentrata sulle donne immigrate. “Fondamentale facilitare l'accesso all'attività fisica regolare, eliminando ostacoli legali, sociali ed economici”]

[A ostacolare la pratica sportiva delle donne straniere sono pure regolamenti sportivi e strutture organizzative poco sensibili a specifici bisogni culturali

Non ha la pretesa di essere un'analisi statistica esaustiva il rapporto di ricerca curato dalla dott.ssa Milena Belloni per ATAS, l'Associazione Trentina Accoglienza Stranieri promotrice del progetto “Relazioni in movimento: la pratica dello sport come mezzo di integrazione delle donne di origine immigrata in Trentino”, realizzato in collaborazione con il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell'Università di Trento ed il Comitato Territoriale dell'UISP, grazie al contributo finanziario della Provincia, ma i risultati – presentati a fine dicembre – sono comunque indicativi.

“È dalla 'Carta europea dei diritti delle donne nello sport' del 1987, una pietra miliare, che si dibatte di partecipazione femminile. Nel 'Libro Bianco' del 2007 si afferma l'importanza dello sport come strumento per promuovere il benessere fisico, psicologico e sociale dei cittadini”, sottolinea Belloni, ricercatrice all'Università di Trento su rifugiati e migrazioni forzate dall'Africa verso l'Europa. “In quest'ottica diventa fondamentale facilitare l'accesso all'attività fisica regolare, eliminando quegli ostacoli legali, sociali ed economici che non permettono ad alcuni, specialmente agli stranieri, di praticarla. Certi dati in nostro possesso rivelano che donne e ragazze di origine immigrata, di prima e seconda generazione, tendono a essere sottorappresentate”.

Il rapporto è frutto di un'indagine, svolta tra maggio e settembre 2016, sui dati esistenti e di una raccolta di nuovi elementi di analisi attraverso interviste a donne immigrate – tra cui sei atlete (di pallavolo, ballo, basket, rugby, judo e nuoto) dai 15 ai 40 anni, residenti a Trento, ma provenienti da Cuba, Romania, Ucraina, India, Sud Sudan e Senegal – e ad altri attori chiave dello sport del capoluogo (una rappresentante dell'UISP locale e una referente interculturale per la scuola primaria), “focus group” con insegnanti di educazione motoria e una ricognizione delle iniziative sul tema.

“Dalle interviste alle atlete, è emerso come lo sport svolga per le immigrate – il 53,6% della popolazione straniera in Trentino, dove la percentuale di sportivi è del 43,4 contro la media nazionale del 30 – un importante ruolo di ponte con la società ospitante attraverso l'apprendimento reciproco di lingua e tradizioni, fungendo così da strumento di integrazione nelle reti sociali ed economiche locali”, spiega Belloni. “Nei racconti di queste donne, tuttavia, compare regolarmente la difficoltà di coniugare l'attività fisica con il ruolo di madri e di mogli. Anche loro, non diversamente dalle italiane, sembrano favorire l'impegno in famiglia. Quando ciò non accade, lo sport viene vissuto talvolta con un senso di colpa e alti costi emotivi”.

Gli ostacoli maggiori restano, però, quelli socio-economici. “Le condizioni socio-economiche delle famiglie immigrate possono avere un effetto sulla partecipazione dei figli alle attività sportive scolastiche extracurriculari o esterne alla scuola”, chiarisce Belloni. “In più occasioni è stata sottolineata la difficoltà, per coloro che vengono da famiglie numerose e poco abbienti, nel frequentare club sportivi o attività agonistiche che implichino non solo rette di iscrizione, ma anche costi relativi a trasferte, equipaggiamento e spostamenti vari”.

A ostacolare la pratica sportiva delle donne straniere sono pure regolamenti sportivi e strutture organizzative poco sensibili a specifici bisogni culturali. “L'impossibilità di partecipare a sport di squadra se si indossa il velo o la difficoltà a entrare in piscina con il burkini sono problematiche reali, ma che possono essere facilmente superate con uno sforzo comune di Federazioni, Pari Opportunità e donne di origine immigrata nel rivedere e rendere più flessibili codici di abbigliamento o regolamenti sportivi in uso”, afferma Belloni. “Vanno in questa direzione sia il programma dell'UISP, non ancora in atto, di riservare per alcune ore la piscina di Gardolo al solo utilizzo delle donne non necessariamente straniere, sia il percorso avviato dalla Commissione provinciale pari opportunità per agire sui regolamenti e non discriminare le atlete in base all'abbigliamento”.

Non sembra d'intralcio alla partecipazione sportiva, invece, la religione. “Seppur a condizione di non mostrare il proprio corpo e di praticarlo separatamente dagli uomini, l'Islam non nega in alcun modo alle donne di fare sport, anzi le incoraggia soprattutto in discipline quali il nuoto, il tiro con l'arco e l'equitazione”, puntualizza Belloni. “Nel Corano, l'attività sportiva viene raccomandata a entrambi i sessi. Donne che praticano sport sono presenti nel libro stesso, a cominciare da Aisha, la moglie di Maometto, che – si narra addirittura – lo batté in una gara di corsa”.

Per valutare più chiaramente la partecipazione delle donne immigrate alle attività fisiche e sportive della provincia, sarà necessario, in futuro, coinvolgere in maniera sistematica le Federazioni (solo cinque hanno risposto all'appello della ricerca per la raccolta dati: quelle di atletica leggera, kayak, tiro con l'arco, scherma e basket), le associazioni amatoriali e le istituzioni scolastiche, queste ultime rivelatesi la fonte più interessante per l'indagine a livello locale.

“Solamente i dati della pallacanestro hanno mostrato una realtà variegata, soprattutto nelle fasce giovanili e del minibasket, nel quale, su un totale di 445 bambine, 87 sono straniere”, fa notare Belloni. “Le tesserate sono circa il 10% degli iscritti non italiani, mentre le nostre connazionali rappresentano grossomodo il 21”.

Per mettere in risalto, promuovendone l'immagine, le straniere attive nello sport del capoluogo, il prossimo marzo sarà allestita, a Trento, una mostra fotografica.

“Libertà, sicurezza, consapevolezza di sé stesse e rispetto da parte degli altri sono parole utilizzate regolarmente da quasi tutte le atlete intervistate, per definire la loro esperienza di sportive”, conclude Belloni. “Il futuro deve partire dalla sinergia con realtà di successo sul territorio, come la squadra femminile dell'A.S.D. Rugby Trento, che ha aderito al progetto 'Immischiamoci: superare gli stereotipi di genere nello sport', l'associazione di donne 'Mimosa', che già include immigrate e locali, e il Trentino Cricket Club. Ma, per fare della coesione sociale e della parità di genere un concetto normativo, servirà soprattutto il 'Tavolo dello sport' inserito nella nuova legge provinciale”.

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