E adesso?

E’ da tempo che ci si chiede cosa sarebbe successo quando si fossero concluse le cosiddette primarie per la segreteria del PD. Adesso si sono chiuse e non è che la situazione si sia completamente chiarita. In parte dipende dal fatto che l’esito non è stato esattamente quello che molti si aspettavano. La vittoria di Renzi era data per scontata, ma non in queste proporzioni; la partecipazione era prevista in calo, ma si pensava che ci sarebbe stato un mezzo tracollo, mentre si è rivelata ancora capace di testimoniare una partecipazione popolare significativa.

Alla luce di queste relative novità ci si chiede cosa succederà nella politica italiana. Renzi si imporrà di nuovo come il dominus assoluto del partito? Gentiloni arriverà a concludere la legislatura? Si andrà verso governi di grande coalizione o di coalizioni tradizionali di centrosinistra o centrodestra? Premesso che non siamo indovini e dunque non sappiamo quali inattesi eventi possono arrivare a modificare la situazione, qualche risposta si può tentare di darla sulla base di alcuni ragionamenti politici.

La posizione di Renzi nel partito è indubbiamente molto solida, perché non solo lui ha il 70% dei consensi, ma quella è la quota che tocca alle liste collegate a lui per l’Assemblea Nazionale. Pensare però che almeno nella prima fase vorrà “asfaltare” gli avversari interni è poco ragionevole. Renzi ha capito che una linea meno arrembante come quella adottata nella campagna per le primarie gli ha giovato. Perché dovrebbe dare ragione ai suoi detrattori prendendosela con una quota di partito che non ha dimostrato forza di mobilitazione? Gli strumenti della normale dialettica di tipo assemblear-parlamentare che guida il PD gli da ottimi strumenti per prevalere al momento opportuno con la messa ai voti delle sue proposte.

Il problema potrebbe rivelarsi più complesso nella gestione dei gruppi parlamentari, ma non sarà così se si tiene a mente che si tratta di senatori e deputati che dovranno fare i conti col partito per la ricandidatura. Inoltre impennate nel comportamento dei gruppi parlamentari PD metterebbero a rischio la tenuta del governo Gentiloni, cosa che non giova certo agli avversari di Renzi perché precipiterebbe il paese verso elezioni anticipate. Più di un giornale sostiene che sia questo l’obiettivo di Renzi, ma ne dubitiamo. Il segretario rieletto non ha interesse ad infilarsi in una avventura elettorale senza averla preparata più che bene: la lezione del referendum dovrebbe essere servita a qualcosa.

Forse elezioni anticipate potrebbero evitare che si votasse sull’onda dell’impressione di un governo PD che ha fatto una finanziaria “impopolare”, ma, almeno nella prospettiva renziana, si tratterebbe sempre di fare una finanziaria di eguale orientamento sempre con un governo a guida PD e per di più probabilmente ingabbiato in coalizioni problematiche. Meglio allora lasciare sulle spalle del cireneo Gentiloni la croce di una legge “imposta da Bruxelles” rispetto alla quale si potrebbe poi chiedere agli elettori un ampio consenso per rimettere in sesto la baracca.

Infine c’è la questione di come formare la maggioranza post elettorale per il futuro governo. Anche qui Renzi non ha interesse a scoprire le sue carte senza conoscere quelle che saranno sul tavolo. Ricostruire il campo del centrosinistra è uno  slogan che scalda vecchi cuori, ma che nessuno può valutare quali margini di realizzabilità abbia. Impegnarsi prima per una alleanza con Berlusconi sarebbe suicida. Meglio costruire, come Renzi sta facendo, una sorta di bipolarismo imperfetto, quello “o noi o Grillo”. Chiuse le urne e valutato il peso di M5S si vedrà chi è disposto a buttarsi nell’avventura grillina, e chi pur di evitarla è disposto a tutto.

In questo scenario sarà comunque chiaro che l’unica forza in grado di prendere in mano l’alternativa a Grillo è il PD renziano a patto che naturalmente si associno a lui, ma solo come “junior partner”, un numero di forze parlamentari sufficienti a formare una maggioranza. Ad individuare quali saranno quelle forze saranno le urne, ma Renzi avrà chiuso il cerchio che riposiziona il PD come autentico perno del sistema.

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