Eutanasia per i castagni del Dürer

Nella sponda cembrana che affascinò il pittore tedesco: tagliati i secolari testimoni della storia

Segonzano, maggio – Nell’autunno del 1494, a causa di una esondazione dell’Adige che aveva reso impraticabile la valle a sud di Salorno, alcuni viaggiatori tedeschi furono costretti a deviare dalla strada imperiale, allagata, e risalire la montagna. La comitiva era formata da un mercante di Norimberga, dai suoi servitori e da Albrecht Dürer, il più importante pittore del rinascimento tedesco,

il quale intendeva raggiungere Venezia per conoscere i grandi maestri della pittura veneta: Andrea Mantegna, Alvise Vivarini, Giovanni Bellini.

Il ventitreenne artista di Norimberga, che aveva lasciato a casa Agnes Frey, la donna sposata da poco, arrivò così in Val di Cembra. I viandanti, scesi dal lago Santo di Cembra, imboccarono la carrareccia della Corvaia per approdare al ponte di Cantilàga, superare l’Avisio e essere ospitati dal procuratore di Segonzano Giorgio di Pietrapiana (Ebenstein) nel “Castello in rovina sulla rupe in riva all’acqua”. Nella seconda metà del XV secolo, infatti, la giurisdizione su Segonzano era passata dal vescovo-principe di Trento ai Conti del Tirolo i quali nominavano, in loro vece, un capitano o un procuratore.

Dürer arrivò in Val di Cembra nel tardo autunno, come vari studiosi propendono, e cioè nella sua andata verso Venezia o fu nella primavera del 1495, sulla via del ritorno?

Stando agli acquarelli che gli sono attribuiti (il castello di Segonzano, il molino ad acqua, il paesaggio alpino) pare improbabile che nel tardo autunno (l’esondazione dell’Adige fu datata 24 ottobre 1494) le chiome degli alberi fossero ancora cariche di foglie verdi, colore più consono alla primavera. Questione marginale, roba da discussione accademica.

Ciò che qui interessa mettere in risalto è un frammento di cronaca che si ricollega a quel celebre viaggio della comitiva tedesca.

Le scorse settimane, infatti, nell’ambito di lavori di riconversione colturale sulla sponda destra dell’Avisio, poco oltre il ponte di Cantilàga, sono stati espiantati tutti i castagni che da secoli connotavano quella plaga. L’imprenditore agricolo, originario del Prà di Segonzano, che intende trasformare la sua proprietà in un vigneto, ha chiesto tutte le autorizzazioni necessarie. Le ha, naturalmente, ottenute. Il terreno insiste sull’ex comune di Faver (oggi Altavalle), e l’ispettore forestale che ha posto la propria autorevole firma su quella riconversione colturale ha tralasciato l’aspetto culturale della plaga.

Alcuni di quei castagni, infatti, hanno probabilmente assistito, da giovani polloni, al transito della comitiva di Norimberga. È vero che gli anni pesano anche per gli alberi secolari. Tuttavia, benché malati, alcuni esemplari, i più robusti, potevano forse restare. Anche perché all’interno di un castagno di cinque secoli aveva nidificato e trovato riparo una coppia di gufi.

Il nostro fotoreporter Gianni Zotta ha avuto la ventura di fotografare uno dei castagni al principio di aprile 2017. Alla fine del mese, di quel secolare monumento vegetale era rimasta soltanto una catasta di legna.

Accanto vi passa il sentiero della Corvaia, con l’acciottolato consumato dal transito dei carri e dei viandanti. Oltre a essere l’antico collegamento fra la sponda sinistra dell’Avisio e i villaggi (allora) di Faver e di Cembra, oggi è parte essenziale del “sentiero europeo n. 5” (dal lago di Costanza a Venezia, itinerario di oltre 600 chilometri).

Insomma, una e più ragioni per tenere in vita quei testimoni del tempo che hanno visto la storia e potevano accompagnare la cronaca ancora per qualche anno. Poi, certo si potrà brindare col vino nuovo dei nuovi vigneti. Ma sarà un brindisi amaro. Spinoso, come i ricci dei castagni che raccoglieva qui il Gustìn, l’Agostino dal Prà, con le sue “möje” fatte con due rametti di faggio.

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