Il vescovo che vide il dito di Dio

Un libro sul rapporto tra mons. Carlo de Ferrari e Chiara Lubich ricostruisce il discernimento del carisma]

[L’Arcivescovo dimostrò intuizione, capacità di governo, prudenza e lungimiranza

Quale il segreto della straordinaria fecondità della testimonianza e del messaggio di Chiara Lubich, che ha dato vita in pochi decenni ad un’opera così vasta e universale come il Movimento dei Focolari? Come ha potuto farsi strada, poco più che ventenne, nella Chiesa pre-conciliare italiana, e resistere con una proposta di vita evangelica che destava sospetto in molti poiché coinvolgeva persone di tutti gli stati di vita, laici e religiosi, donne e uomini?

Il segreto risiede in quello che Chiara, riferendosi al grido di Gesù e riportato da Matteo e Marco, chiama “Gesù crocifisso e abbandonato”. Un’intuizione maturata sotto i bombardamenti che colpirono Trento nel 1943, in un momento in cui a causa della guerra tutto veniva meno, e dove Chiara comprese che “ogni cosa materiale può crollare ma non Dio, inteso come Amore”.

Uno dei primi a comprendere lo spessore e le potenzialità di questa intuizione e del progetto di vita che ne conseguiva fu l’arcivescovo di Trento Carlo De Ferrari, che approvò da subito la proposta di dar vita ai primi gruppi di focolarine, e ne seguì con paterna attenzione e fraterna passione la vicenda fino alla morte.

A settant’anni dall’approvazione come “associazione privata di fedeli di diritto diocesano” (I maggio 1947), viene pubblicato il volume “Qui c’è il dito di Dio. Carlo de Ferrari e Chiara Lubich: il discernimento di un carisma”. Autrice la storica Lucia Abignente, già curatrice di numerose ricerche sul movimento e la sua fondatrice. Il libro costituisce il secondo volume della Collana Studi e Documenti promossa dal “Centro Chiara Lubich” di Rocca di Papa e pubblicato da Città Nuova. 

La ricerca, con un ampio uso di fonti documentarie spesso inedite e trattate con un metodo scientificamente ineccepibile, ricostruisce il rapporto tra Chiara Lubich e il Vescovo, mettendo in particolare evidenza la capacità di questi di riconoscere “l’agire di Dio” nel nascente movimento.

Un apparato di fonti che si basa principalmente sulla documentazione raccolta da mons. de Ferrari stesso. Corrispondenze, carteggi e dossier che erano stati volutamente conservati dall’Arcivescovo nel suo studio privato, separati dall’archivio diocesano, e che vennero consegnati a Chiara Lubich alla morte di lui, avvenuta il 14 dicembre 1962 (anno dell’approvazione pontificia del movimento).

Fonti che, confrontate e inquadrate con altri materiali reperiti in molti archivi e con numerose testimonianze personali, hanno costituito un corredo utile per l’inquadramento storico del Movimento nascente e, soprattutto, per la conoscenza di alcune fasi delle indagini condotte dalla Santa Sede e dalla Conferenza Episcopale Italiana.

Il quadro che ne emerge appare per molti versi inedito e di ampio respiro, sia per la storia dell’Opera di Maria, che per la storia della Chiesa locale e nazionale, con molti spunti e opportunità di approfondimento offerti a ricerche future. Per fare un esempio, il profilo di Carlo de Ferrari e del suo ministero episcopale a Trento – rispetto al quale il giudizio degli storici è finora risultato spesso parziale e sbrigativo – si rivela in una luce decisamente nuova. Nelle vicende narrate dimostrò intuizione, capacità di governo, prudenza e lungimiranza, molto maggiori di quelle attribuitegli finora da una pubblicistica non sempre equanime.

Il termine greco charisma, usato soprattutto nelle lettere paoline, è legittimamente tradotto in italiano con la parola “dono”, ed indica una preziosa ed utile ispirazione gratuita che Dio offre per la sua Chiesa. “I carismi sono doni particolari che lo Spirito distribuisce come vuole” (1Cor 12, 11). Non si tratta, quindi, di semplici capacità umane…

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