Il discernimento di nuovi diaconi

La restaurazione del grado dell’ordine sacro del diaconato, nella forma permanente, è stata stabilita dal Concilio Vaticano II. Ad esso sono ammessi uomini sposati e celibi, e su di esso sta ritornando in questi tempi l’attenzione anche in ambito teologico. La scelta di intraprendere questo cammino richiede un accurato discernimento: avviene infatti in età matura e con problemi non semplici da affrontare. L’argomento del discernimento è stato al centro di tre giornate a Villa Immacolata di Torreglia (Padova), dal 3 al 5 settembre scorso. Vi hanno preso parte le équipes dei formatori al diaconato delle 15 diocesi del Triveneto: sacerdoti, diaconi e mogli. I lavori, presieduti dal delegato della CET, l’arcivescovo Andrea Bruno Mazzocato, e coordinati dal responsabile della Commissione don Dino Bressan, hanno avuto come tema specifico: “Quali sono i criteri che determinano il discernimento iniziale in vista del diaconato? Criteri e metodi del tempo propedeutico per l’accoglienza e l’avvio della formazione”. Si è convenuto opportuno che il primo discernimento avvenga prima dell’inizio del cammino formativo. Il tempo propedeutico, della durata orientativa di alcuni mesi, permetterà al delegato per il diaconato di avere colloqui sereni con il richiedente, ma anche con la moglie, il parroco, il mondo di provenienza, per cercare di capire la situazione umana, il carattere, l’equilibrio, la capacità di comunione e di relazione.

Nel corso dell’incontro sono state portate testimonianze ed esperienze da parte delle diocesi ‘pioniere’ di Torino (dove i diaconi sono 145) e di Reggio Emilia, dove sono 112 e dove è la comunità parrocchiale che indica i possibili candidati al diaconato, attraverso specifiche iniziative di sensibilizzazione: non vengono considerate eventuali autocandidature.

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