Martini, un vescovo in uscita

A cinque anni dalla morte un incontro a Trento ne ha ricordato la figura

Marco Garzonio: “Martini ha spezzato la Parola, così come si spezza il Pane”

A cinque anni dalla morte (31 agosto 2012) un incontro per ricordare – fare memoria, avrebbe detto lui – il card. Carlo Maria Martini, figura luminosa della Chiesa nella sua recente storia. Davanti ad un pubblico numeroso e attento ne hanno parlato – sollecitati dal direttore del quotidiano L’Adige, Pierangelo Giovanetti – mons. Gianfranco Bottoni e il giornalista e psicoterapeuta Marco Garzonio che per ben 22 anni ha seguito Martini per conto del Corriere della Sera. Testimonianze preziose entrambe perché derivano da una lunga e consolidata frequentazione col card. Martini, a partire dalla sua schietta umanità.

“Quando ti riceveva chiedeva sempre delle persone care, la moglie, i figli – osserva Garzonio -, si preoccupava dei pazienti, quanti ne avevo, quali pene portavano nel cuore”.

Per Martini – ha ricordato Giovanetti – centrale sopra tutto era la Parola, il discernimento, il cuore sincero nel cercare, cercare ancora. Per lui, infatti, il discrimine non stava tanto tra chi crede e chi non crede, ma tra coloro che pensano e chi non pensa, l’assunzione della responsabilità di essere persone oppure un atteggiamento disinteressato e disincarnato, scettico, “neutrale”.

Martini era particolarmente legato al Trentino, vi veniva in vacanza e una volta salito sulla cattedra di Ambrogio ci teneva particolarmente a rinsaldare e consolidare il legame tra la Chiesa milanese e quella di Vigilio.

Un vescovo in uscita

Nel corso dell’incontro sono risaltate parole come “intelligenza critica” e “santità”, un binomio inscindibile – quando non sempre sanno stare assieme – di questo “padre della Chiesa dei giorni nostri”. Per dire della necessità per la Chiesa di sapersi attrezzare per affrontare sempre nuove sfide, problemi sempre nuovi e che si rinnovano.

Martini, un vescovo in uscita. Che dialoga. Che ha compreso che è definitivamente tramontato l’hortus conclusus della societas christiana e che occorre navigare in mare aperto, essere cristiani che escono prima di tutto da se stessi –capaci di stare insieme agli altri senza soggezione e senza sensi di superiorità. Pro veritate adversa diligere (et prospera formidando declinare). Per il servizio della verità essere pronto ad amare le avversità (e guardarsi dal successo con timore). Ciò ha comportato un certo travaglio all’interno della Chiesa stessa e però il cardinale ha sempre mantenuto un atteggiamento lineare, limpido: denunciare le cose che non andavano bene (“prima di morire devo poter dire alcune cose”) e al contempo essere al servizio. E’ noto infatti come denunciasse con fermezza quella che per lui era una piaga, il materialismo nella Chiesa, “per il buon fine si giustificano i mezzi”, quei suoi famosi 200 anni di ritardo della Chiesa rispetto alle problematiche del mondo contemporaneo – il suo travaglio, le sue aporie – erano in realtà 300, di anni; per dire del ritardo da recuperare per essere al passo coi tempi, attenti al soffio dello Spirito e, appunto, ai “segni dei tempi”.

La Parola e lo Spirito

In tutto ciò Martini ha avuto due riferimenti fondamentali: la Parola e lo Spirito. La Parola che illumina, il discernimento e lo “Spirito che viene in soccorso alla nostra debolezza”. In ciò stava la “nuova Pentecoste” anche in riferimento al dialogo ecumenico, mai accademico, per Martini, ma capace di arrivare alla sostanza delle cose seguendo quello che amava dire Madre Teresa di Calcutta: “Amo tutte le religioni e sono innamorata della mia”. Se c’è repulsa non c’è neppure innamoramento. Si vada a rileggersi un testo come “Noi e l’Islam” (a 27 anni di distanza) per capire di un rapporto corretto, non ingenuo, non buonista col mondo musulmano. Oppure nel dialogo con mondo ebraico, andando anche oltre il pur “avanzato” testo conciliare Nostra aetate, nella convinzione ci volesse una revisione radicale dell’approccio col mondo ebraico. Per Martini occorre essere per il popolo ebraico, studiarlo, amarlo, comunicare con lui. Quindi cambiare ottica: non solo buone relazioni, il problema è rivedere i nostri errori, che cosa ha portato all’antisemitismo, essendo urgente e necessario un cambiamento di prospettiva reciproco.

La cultura dell’accoglienza

E’ stata rievocata la sua“cultura dell’accoglienza”: un antesignano anche in questo perché già nel 1982 vedeva nell’immigrazione, allora ai primordi, un’occasione e un’opportunità, una sfida epocale da accogliere senza paure. Di qui il suo appello a “farsi prossimo”, le iniziative sul piano della carità, segno di un cristianesimo capace di essere “dentro” la città dell’uomo, impastato con i suoi problemi, le angosce, le speranze.

Marco Garzonio, una bella figura di uomo e di cristiano, ha esortato a conoscere Martini e con entusiasmo si è mostrato presente ad ogni iniziativa che racconta cosa è stato per la Chiesa milanese e italiana e universale, cosa ha seminato. “Sono stato uno di voi”, ma anche voi siete stati uno di me! Martini che non ha scritto nessun libro, ma di lui tutto è stato trascritto. Il suo amore per la Parola: “Martini ha spezzato la Parola, così come si spezza il Pane”. Non a caso il cardinal Martini ha voluto fosse scritta sulla lapide della sua tomba l’invocazione del salmo: “Lampada per i miei passi è la tua parola”. Luce per il cammino.

Fare memoria dunque di questo grande e umile uomo di Chiesa, “rendere presente” il suo insegnamento – l’assunzione di responsabilità di ogni cristiano – come quando disse al cronista Garzonio, con un filo di voce, e sono forse le sue ultime parole: “E tu che cosa fai per la Chiesa?”.

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