“Don Primo, amico di mio padre”

Un’amicizia nata e forgiatasi nel periodo della Resistenza, dopo l’8 settembre del ’43

Lunedì 18 settembre si è aperta a Cremona la fase diocesana del processo di beatificazione di don Primo Mazzolari. “Don Primo aveva un’umanità strabordante, fuori del normale. Una persona, un prete che amava stare in mezzo alla sua gente, con umiltà e schiettezza. Un cristiano che non ti lasciava indifferente”. Anche a distanza di molti anni i ricordi di Sauro Sartori sono nitidi, precisi. Sauro aveva 10 anni, era un bambino attento e curioso. Suo padre, Carlo, era stato comandante partigiano tra i più noti e conosciuti, lungo tutta la dorsale dell’Appennino emiliano, fino a Ferrara e con contatti forti anche lungo le propaggini toscane. “Veniva da noi, don Primo – osserva Sauro – per la benedizione delle case. Entrava, si metteva a sedere, chiacchierava con mia madre chiedendo se i figli erano battezzati, se loro si erano sposati in chiesa, come andava la vita”. Ad un certo punto entra suo padre e saluta con grande calore don Primo, i due si abbracciano, segno di una lunga e sincera amicizia. L’amicizia tra loro, il partigiano Carlo, di schietta estrazione socialista, e don Primo Mazzolari, “la tromba dello Spirito Santo in Val Padana” – come ebbe poi a chiamarlo Papa Giovanni -, era nata e si era forgiata in momenti difficili, nel periodo della Resistenza, dopo l’8 settembre del ’43 per tutto il terribile e tragico 1944, fino alla Liberazione, nell’aprile del ’45.

“Mio padre – ricorda ora Sauro – parlava spesso di don Primo (di una trentina d’anni più anziano, ndr) della sua intelligenza e insieme della sua modestia, lui di estrazione socialista e proletaria e quel prete che mostrava una fede granitica, capace di trasmetterla, di fartela sentire nella testimonianza della vita, nel suo vivere quotidiano di prete di campagna”.

Don Primo Mazzolari aveva partecipato attivamente alla Resistenza, con militanti cristiani e anche con altri, quelli che allora erano chiamati i “lontani”, socialisti e comunisti, legati comunque insieme dalla comune fede nell’uomo, nella sua vocazione alla libertà e alla dignità. Don Primo sapeva perfettamente delle azioni partigiane, partecipava egli stesso alle riunioni clandestine, non poteva sopportare quella prepotenza ostentata da un regime totalitario e non cristiano, le angherie perpetrate nei confronti della povera gente.

Carlo Sartori era nato a Crespino, in quel di Rovigo. In famiglia erano 41, tutte bocche da sfamare ma pure gente attiva, intraprendente. Carlo a quindici anni frequentava i mezzadri della zona, lavorava in un’impresa edile, aveva una barberia: tutti posti dove incontrarsi e discutere, tessere rapporti. Carlo suonava il mandolino, rammenta con un velo di nostalgia filiale Sauro. Se l’era costruito lui, con molta pazienza, mettendo assieme i pezzi con solerzia e maestria. Poi la guerra in Grecia e Albania, e la ritirata, ferito. “Quando mio papà Carlo viene a casa, dopo il ferimento che comporta la perdita del braccio sinistro, non è più capace di suonare il suo mandolino e allora in pochi secondi lo distrugge!”.

Il comandante Carlo – nessuno lo sapeva, neanche i suoi partigiani, un fatto che rimarrà segreto – prende parte pure alla battaglia della Val d’Ossola e lì trova e fa amicizia con Bruno Storti che poi diventerà segretario generale della Cisl. Per dire che l’agire e la capacità di quest’uomo generoso non si limitava alle sue terre. Dove peraltro sul versante appenninico tosco-emiliano aveva conosciuto e intrattenuto amicizia e vicinanza umana con quello che poi diventerà il grande sindaco di Firenze nel dopoguerra, Giorgio La Pira. Don Mazzolari aveva esclamato una volta incontrando per caso Carlo: “Avevo paura di non vederti più, ho pensato, quello me l’accoppano!”. Così un giorno era capitato nel 1960 (“o forse nel ’61”), nel corso di una riunione interregionale, quando Carlo Sartori si alza per parlare e saluta l’amico “Ciao Giorgio!”, La Pira risponde quasi con le stesse parole: “Ti ho visto, sai, Carlo, non ci credevo, pensavo ti avessero accoppato”.

Carlo Sartori è sempre rimasto – anche dopo finita la guerra – una persona umile e schiva. Anche chi scrive queste righe lo ricorda bene fuori dal suo albergo nel paese in montagna dove nel frattempo si era trasferito con la famiglia. Conservava nel suo cuore quei nobili intenti giovanili, quelle azioni di battaglia, la generosità che non chiede nulla in cambio. Aveva conosciuto persone straordinarie come don Primo Mazzolari, Giorgio La Pira e altri. Umile e altruista, è stato una persona “per gli altri”, il generoso comandante Carlo Sartori.

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