“Un tempo da dedicare all’ascolto”

Don Ferruccio, qualcuno dice che un prete non va mai in pensione…

Diciamo che non cessa mai di essere prete. In diocesi ne abbiamo ancora alcuni che collaborano anche a 90 anni suonati, ma normalmente attorno ai 75 anni si prevede un ritiro dalla responsabilità parrocchiale. D'altra parte i parroci trentini sono sempre meno – dal prossimo anno avremo a che fare con classi d'ordinazione inferiori alle dieci unità – e quindi oggi ci troviamo con un centinaio di ultrasettantacinquenni che ancora prestano servizio di collaboratori. Un buon terzo del clero trentino.

Da dove nasce la fatica del prete “in pensione”?

In parte è un passaggio della vita che si fa sentire anche sul piano psicologico. Avviene per tutti i “pensionati” ma in questo caso il ritiro arriva quasi dieci anni dopo, a 75 anni appunto. Ma in più c'è la condizione mutata del prete oggi che è figlio del suo tempo, immerso in una società non più cristiana, che gli offre stimoli ben diversi.

Che cosa può essere specifico dei collaboratori anziani?

Ci siamo detti martedì che, non avendo più impegni burocratici e fissi, possono dedicarsi con maggior libertà e disponibilità all'ascolto delle persone, alla relazione umana, un servizio nel quale può rientrare anche il sacramento della riconciliazione. Meglio ancora se può avvenire in un luogo e orario adatto, come il vescovo vorrebbe, arrivando a garantirlo almeno in ogni zona pastorale. Sarebbe un modo per contribuire alle nuove urgenze pastorali, valorizzando appieno anche il ministero sacerdotale.

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