Il Papa in Myanmar, messaggero di pace

Mons. Bressan: “Una visita non scontata”, che dà coraggio e fiducia alle minoranze cattoliche

È il 21° viaggio apostolico internazionale quello di Francesco in Myanmar, dal 27 al 30 novembre, e poi in Bangladesh, fino al 2 dicembre.

“Ho atteso a lungo questo momento”, è stato il saluto del Papa alle decine di migliaia di fedeli che hanno assistito alla Messa a Yangon. “Molti di voi sono giunti da lontano e da remote aree montagnose, alcuni anche a piedi”, ha proseguito Francesco riferendosi al popolo cattolico birmano, che costituisce l’1,7% della popolazione. “Sono venuto come pellegrino per ascoltare e imparare da voi, e per offrirvi alcune parole di speranza e consolazione”.

Ai 22 vescovi del Myanmar, Francesco ha affidato il mandato di “mettere la comunità cattolica nelle condizioni di continuare ad avere un ruolo costruttivo nella vita della società, facendo sentire la vostra voce nelle questioni di interesse nazionale”, in particolare sui diritti umani e sulla salvaguardia dell'ambiente. “La grande sfida dei nostri giorni è quella di aiutare le persone ad aprirsi al trascendente”, ha spiegato il Papa ai leader buddhisti accostando le parole di Buddha e San Francesco, ispirate da “sentimenti simili”: “Possa questa sapienza continuare a ispirare ogni sforzo per promuovere la pazienza e la comprensione”, e “guarire le ferite” della società.

Davanti alle autorità, il Papa ha incoraggiato “tutti coloro che stanno lavorando per costruire un ordine sociale giusto, riconciliato e inclusivo”. Atteso l'incontro con Aung San Suu Kyi, Consigliera di Stato e ministra degli Esteri, già premio Nobel per la pace, recentemente criticata per la questione della minoranza Rohingya. “La strada per la pace non è semplice ma è l’unica che condurrà il nostro popolo a realizzare il suo sogno di una terra giusta e prospera” ha detto San Suu Kyi assicurando l'impegno del governo in questo senso. “La guarigione di queste ferite si impone come una priorità politica e spirituale fondamentale”, il monito di Francesco.

Abbiamo chiesto un commento sul viaggio apostolico in Asia a mons. Luigi Bressan, arcivescovo emerito di Trento, in Birmania dal 1993 al 1999 come Delegato apostolico.

Avevo accolto l’annuncio del Papa di visitare Myanmar e Bangladesh con sorpresa, gioia e preoccupazione. Non vi erano eventi speciali e la visita pastorale, non scontata, è nata soprattutto dal desiderio di essere tra i più poveri della terra, in quell’immenso continente che è l’Asia e che rappresenta il 65% della popolazione mondiale.

Il Bangladesh è uno stato giovane, ha una superficie di metà dell’Italia ma ci vivono 145 milioni di persone; l’indice internazionale di sviluppo umano pone questa nazione al 142° posto. Il 90% sono mussulmani e i cristiani raggiungono lo 0,3%. Si può ben comprendere come una tale minoranza si senta quanto mai onorata che il suo rappresentante più elevato sulla terra le renda visita. È anche un incoraggiamento alla linea moderata del governo musulmano.

Più vicino al mio cuore è certamente il Myanmar, per averlo visitato una quarantina di volte ed averne seguito dagli anni ’90 le vicende. Ha un territorio che è il doppio dell’Italia e va dai tropici alle nevi del Himalaya con circa 52 milioni di abitanti (altre fonti dicono: 60 milioni), dei quali la metà di razza birmana e il resto appartenenti a ben 135 gruppi etnici diversi e con lingue e religiosità differenti. Indipendente dal 1948, fu retto da dittature continue. Solo nel 2015 si sono avviati passi di democratizzazione non ancora completi. Benché abbia tante risorse naturali e non sia sovrappopolato è al 148° posto nell’indice internazionale di sviluppo umano.

Sotto l’aspetto religioso è costituito da un 74% da buddisti, che vorrebbero essere a guida del buddismo mondiale; l’11% sono “animisti”. I musulmani raggiungono il 3-4% distribuiti in zone diverse. Dal secolo XVI con l’arrivo dei portoghesi i cristiani iniziarono a crescere, ma fu soprattutto dalla fine del 1800 che presero piede le comunità cristiane fino a raggiungere oggi il 3% dei cittadini del Myanmar; di essi un terzo sono cattolici. Allo sviluppo della Chiesa in quel paese diedero grande impulso i francesi, ma anche gli italiani del PIME… e i trentini si distinsero. Due suore di Maria Bambina operarono tanto per i lebbrosi, sr. Benedetta Zanol di Capriana, detta “angelo della carità eroica” e la consorella sr. Scolastica Facchini di Roncone, infermiera nei lebbrosari. Due sacerdoti fondarono chiese che ora sono diocesi. Don Domenico Tarolli di Castel Condino, “fidei donum” ante litteram, che operò là dal 1830 al 1882 i e fondò le chiese di Pathein e Mawlamyine, ora sedi vescovili; padre Antonio Zeni (PIME) di Spormaggiore che nel 1938 completò la prima chiesa di Lashio, che poi si è sviluppata in cattedrale. Più tardi tutti gli stranieri furono esclusi dalla Birmania.

Ma non ho mai visto tanto attaccamento di fede al Papa come tra quei cattolici; il merito va certamente ai missionari del PIME. Si deve anche comprendere quale importanza per delle minoranze sentirsi collegati con una famiglia mondiale. Non si sognavano nemmeno una visita di un Papa…

Molto si è scritto sulla menzione esplicita o implicita del gruppo etnico Rohingya, ma è ovvio che lo scopo primo della visita del Papa è quella di conformare i fratelli e sorelle nella fede, secondo il mandato di Cristo a san Pietro. Molti hanno sofferto, soprattutto per il fatto che appartengono a minoranze etniche, mentre siamo vicini al dolore dei Rohingya in questa fase di un cammino democratico iniziato e suscettibile di essere interrotto. Ciò non giustifica una nuova violazione dei diritti fondamentali delle persone, e di loro il Papa ha già parlato.

Sono certo di condividere una gioia immensa della gente del Myanmar per la visita del Papa: tutti i cittadini vedono che la loro nazione non è emarginata dal resto del mondo; i cattolici che per tanto tempo sono stati costretti al silenzio e alla mancanza di relazioni, accolgono tra loro il Vicario di Cristo; gli stessi buddisti possono considerarsi onorati che il “capo supremo” del cristianesimo abbia dato loro attenzione senza proselitismi e polemiche; Aung San Suu Kyi risulta rinforzata nella sua campagna complessa per la democrazia. La avevo incontrata una sola volta, perché era costretta agli arresti domiciliari ed ha sempre mostrato particolare attenzione verso i cristiani, sollecitandoli a lottare per la libertà nel rispetto dell’unione dei vari gruppi etnici.

Da parte mia una grande lode a Dio per questa Visita pastorale e per averci dato questo Papa!

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