L’appello di don Onorio non ha perso valore

Bentornati, alpini!

Trentun anni dopo, Trento indossa il vestito tricolore della festa e l’Italia dei mille campanili sfila compatta in città.

Non è una parata, né un’esibizione folk. L’anima più genuina di questo rito annuale sta soltanto nel riconoscersi persone, stimarsi a vicenda nel condividere la scelta del servizio. Ci hanno creduto nella loro vita le sette penne nere dei paesi trentini, che raccontiamo in queste pagine, una squadra rappresentativa di un'ideale che resiste alla prova degli anni.

Chi guarda con diffidenza alla pacifica invasione della nostra terra, bagnata come poche altre dal sangue di convalligiani trasformati in nemici, rilegga quest’appello: “Noi, uomini che abbiamo fatto la guerra ma che vogliamo e amiamo la pace, senza per questo dimenticare chi ha lottato, chi è morto, chi pena per la malattia o l’invalidità contratta sui campi di battaglia, noi abbiamo ancora una parola da dire a quelli che ci stanno vicini, ed anche ai lontani: vogliamoci bene, aiutiamoci nelle inevitabili difficoltà, facciamo in modo che la penna nera, così come fu una bandiera di oscuri egoismi quando eravamo alle armi, sia oggi un segno di pace, di lavoro e di fraternità”.

A firmare quest' impegno sul periodico “Doss Trento” nel 1953 fu il reduce don Onorio Spada, giornalista e poeta, amico di tanti giovani trentini, sia universitari che operai: “L’amicizia è la miglior forma di organizzazione”, amava ripetere don Onorio, intuendo così forse anche il segreto della longevità alpina. La sua eredità morale, come quella di altri leader dalla penna nera come il noneso Franco Bertagnolli, presidente della ricostruzione in Friuli, è tramandata da quanti hanno goduto del suo consiglio e delle sue pacche sulle spalle.

Gli amici del cappellano alpino Spada hanno realizzato in sua memoria un’opera in muratura, preziosa come le altre 40 chiesette ANA edificate in Trentino: è la “Baita Don Onorio” donata per i giovani del Villaggio SOS di Trento, costruita in 75 sabati e altrettante domeniche dai turni di 1200 volontari alpini di tutto il Trentino: “Gli alpini, se li muovi, sono una catapulta”.

In un’intervista a Vita Trentina l’anziano don Onorio distillò così il succo della comune umanità: “Camminare insieme, ecco la sostanza di tutto: uno da solo non ce la fa”. Vale anche questi anni di legami liquidi, di politica litigiosa, di solitudini digitali e dipendenze tecnologiche, di pretese a chiudersi nei confini dell’agio fittizio. E vale di fronte a polemiche ormai superate, nel comune ricordo per i caduti di tutte le guerre e di ogni tempo.

Nel 1987 gli obiettori di coscienza trentini avviarono un dialogo con gli alpini “intervistati” durante l'adunata. In questi giorni quel dialogo con la nostra comunità (che confidiamo non sia rovinato da alcun eccesso) riprende per tre giorni per le vie di Trento, si fa coro e anche preghiera, proiettando un patrimonio ideale nei solchi concreti di una fraternità che vorremmo aperta, senza confini, smisurata.  Il roccioso motto dell’adunata “Per gli alpini non esiste l’impossibile”, appunto, può spingere anche ad una solidarietà dalle forme rinnovate, multietniche, con invenzioni sorprendenti.  Come ci indicano le intuizioni e la passione di alcuni trentini donati all’umanità –  l’europeista Alcide Degasperi, la  cosmopolita Chiara Lubich, il missionario padre Mario Borzaga…- le cui tracce profonde solcano la nostra città. Agli alpini d’Italia e del mondo, auguriamo di scoprirle in questi giorni di festa! 
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