L’albero degli zoccoli e l’albero delle notizie

“Posso salutarla?” chiedeva alla ragazza timidamente e rispettosamente al primo incontro il protagonista de “L'Albero degli zoccoli”. Quella scena, evocativa di un atteggiamento di pudore resistente alle mode, è scolpita nella memoria degli adolescenti che nel 1978 scoprivano un mondo contadino in via d'estinzione.

Quante “rivelazioni” di verità senza tempo ci ha offerto il cinema di Ermanno Olmi, andatosene lunedì in punta di piedi nella vicina Asiago, dove pochi anni fa – già provato dalla malattia – aveva girato il centenario della Grande Guerra. “Torneranno i prati” s'intitolava quell'ultimo grande film “corale” e tragico del grande regista veneto. Torneranno i suoi film? Come “L'albero degli zoccoli” che meriterebbe di essere riproposto come l'affresco di un secolo, così la re-visione delle altre opere d'arte di Olmi sarebbe il modo migliore per celebrare la prossima Giornata delle Comunicazioni Sociali in cui il Papa c'invita a saper distinguere sull'albero delle notizie quali sono le mele marce, le fake news, e quali invece i germogli di verità.

Cercatore instancabile e insaziabile, come quei magi inquieti che ha accompagnato nel suo film più lento ed enigmatico (“Cammina, cammina”), Olmi ha cercato la verità dentro la concretezza, dietro le scarpe sporche delle persone. Ad esempio in quel Papa Giovanni XXIII (“E venne un uomo…”) di cui aveva intuito l'eccezionale dimensione profetica già nel 1965. Oppure nell'ultimo documentario sulla morte e la vita del cardinal Carlo Maria Martini (“Vedete, sono uno di voi…”) che a Trento avevamo gustato in anteprima lo scorso anno alla vigilia di questa Giornata di maggio sui media.

Curioso e timido, delicato e schietto, Olmi sapeva scegliere, si fermava alle piccole grandi verità della vita. Stop. E poi le raccontava a voce piena, a cinepresa sciolta, perchè potessero imporsi con un'energia più forte di tante superficiali “bugie” messe in circolo da un mercato mediatico in cui non si ritrovava più. Sapeva appoggiarsi sulle spalle di giganti, come Joseph Roth raccontato ne “La leggenda del Santo Bevitore” e il montanaro Dino Buzzati ne “Il segreto del bosco vecchio”, consapevole che dall'umiltà nascono i capolavori.

Amante del Trentino, che aveva raccontato in un film su De Gasperi girato anche a Trento nei primi anni Settanta, Olmi aveva apprezzato anche l'ideale fraterno di Chiara Lubich, per quella dimensione evangelica di popolo che sa rendere grandi i piccoli. “Chi capisce prima Cristo se non i pescatori, gli ultimi?” – confidava Ermanno a Gian Antonio Stella in una delle ultime interviste – Essere degli intellettuali è un grande rischio. E bisogna sapersi, come dire?, rimpicciolire, umiliarsi, sentirsi ignoranti, per cogliere alcune cose. Invece quante volte vedi personaggi che parlano dall’alto della loro presunzione mentre invece la verità sta sempre con gli umili”.

Il nostro don Ivan Maffeis, responsabile Cei per le comunicazioni socialil, ha dichiarato che “con il film ‘Villaggio di Cartone’, Olmi ci ha mostrato ‘una Chiesa povera e per i poveri!’, richiamando le parole di papa Francesco, che accoglie come il buon samaritano il fratello disperso ai margini della strada”. E ancora “Olmi ha saputo leggere la dimensione popolare dell’esperienza cristiana, raccontando le sue più semplici e genuine tradizioni. Ha colto l’importante quotidianità della fede nella vita dell’uomo, l’incontro del Vangelo con la vita di tutti i giorni”. Ne abbiamo abbastanza per farci accompagnare e guidare da questo regista intramontabile anche nelle scene più quotidiane della nostra vita.

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