L’unica borraccia che disseta i giovani

Sentiremo parlare davvero poco del Sinodo in corso a Roma fino al 28 ottobre: non saranno in discussione temi giornalisticamente spendibili su cui costruire campagne più o meno fondate circa la reale volontà di riforma della Chiesa cattolica, né ci sarà materia teologicamente scottante da attribuire all'uno o all'altro schieramento in modo da creare una qualche narrazione sulle dinamiche di potere all'interno delle strutture ecclesiastiche.

I Vescovi saranno “semplicemente” chiamati a ragionare attorno alla trasmissione della fede tra le generazioni, ponendo particolare attenzione al mondo giovanile. Compito, oggi, tra i più difficili e impegnativi, ma di fondamentale importanza per l'esistenza stessa della Chiesa.

Una società vecchia, ma incapace di riconoscerlo e accettarlo, come la nostra, fatica a intravedere la bontà di una discussione come questa tutta incentrata sull'ascolto del mondo giovanile e mossa dal desiderio gratuito di contribuire a restituire al dibattito pubblico l'importanza di un tema, quello dello scambio tra le generazioni, che non riguarda soltanto il vissuto della comunità ecclesiale. Dietro alla specificazione già presente nel titolo del Sinodo, in riferimento alla questione del discernimento vocazionale, non c'è l'idea di pensare a strategie per dare sostanza al numero del sempre più esiguo personale ecclesiastico; si intravede invece la convinzione, molto più nobile e sensata, di riflettere attorno alla possibilità che la fede in Gesù Cristo possa essere ancora la migliore compagna di cammino per quei giovani che vogliano diventare adulti capaci di custodire e trasmettere, a loro volta, il senso vocazionale della vita.

Molti giovani, anche nella nostra diocesi, stanno imparando a vivere senza la Chiesa e senza la fede e lo stanno facendo benissimo!

Per anni ci siamo trincerati dietro all'idea che bastasse perpetrare certe abitudini e certe pratiche per trasmettere la fede, quasi si trattasse di un semplice automatismo: convinti che fosse sufficiente ripetere come un mantra «difendiamo i nostri valori», ci siamo dimenticati che la fede non è un valore, ma è la dinamica di un incontro che spinge ad uscire da se stessi per andare incontro alla vita generando valori.

Le nostre comunità sono all’altezza di tutto questo o si stanno lentamente abituando a vivere senza giovani, ad accettare una realtà fatta di abitudini, un contesto apparentemente ospitale solo per bambini e anziani? La fede dunque non è adatta alla vita di un giovane o di un adulto? Rassegnarsi a questa convinzione diventa spesso la cartina tornasole di una mancanza di speranza che nasconde, in realtà, ignoranza rispetto alla Parola di Dio e alla figura di Gesù. Ecco perché da qualche tempo in diocesi si sta cercando di strutturare esperienze dove un giovane possa incontrare, prima di ogni altra cosa, l’appello alla vita che il Vangelo gli rivolge in modo del tutto personale. Passi di Vangelo”, nel ritmo mensile dell’incontro con il Vescovo, ma anche in quello settimanale in piccoli gruppi sul territorio e le altre esperienze in cui al centro viene messo l’annuncio gratuito del Vangelo, un annuncio rivolto a tutti e non solo all’unica pecora rimasta nel recinto, diventano il contributo più convinto della nostra diocesi ai lavori del Sinodo in corso a Roma; un contributo che vuole risvegliare prima di tutto le nostre comunità, in attesa che il Papa e i Vescovi ci aiutino a comprendere la gerarchia dell’essenziale nelle realtà da trasmettere: abbiamo bisogno di essere più leggeri per poter stare al passo dei giovani che ci precedono e per poter consegnare loro la borraccia con l’acqua di cui hanno bisogno per poter continuare a camminare.

Pietro Antonio Viola*

* religioso dehoniano, collabora a “Passi di Vangelo”

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