Il sarto di Vermiglio

La via crucis del nostro buon Quirino Panizza era cominciata a metà gennaio di quel 1919, di ritorno da Katzenau

18 aprile 1919, Venerdì Santo

Quirino Panizza se ne sta inginocchiato sul pianale del carretto stringendo tra le mani il suo "tesoro", attento a non farlo cadere ogni volta che una delle quattro ruote piomba in una buca della strada polverosa che sale verso Favriano di Vermiglio, eredità tutte quelle buche dell'interminabile guerra finita solo da pochi mesi. A cassetta Vittore Redolfi, con le briglie del cavallo nelle mani, di tanto in tanto si gira per controllare che il suo ospite non sia caduto dal carro assieme al tesoro prezioso.

«Tutto a posto, Quirino?» chiede il conducente dopo che il carro è inciampato in due buche parallele che hanno fatto scricchiolare le assi del pianale.

«Certo… tutto a posto!» risponde Quirino. Con le lacrime agli occhi.

La via crucis del nostro buon Quirino Panizza era cominciata a metà gennaio di quel 1919 quando, di ritorno da Katzenau dove aveva trascorso i lunghi anni della guerra praticamente prigioniero nella baracca n. 54, aveva ritrovato in lacrime la sua povera Maria, che invece era stata internata nella "città di legno" austriaca di Mittendorf. L'abitazione di Favriano era per fortuna ancora in piedi e con pochi lavori sarebbe stata immediatamente abitabile. Dentro, invece, era sparito praticamente tutto: mobili, attrezzi, utensili da cucina, biancheria, vasellame, soprammobili, perfino due bei quadri che da anni facevano bella mostra di sé nel tinello – il dipinto della Madonna e il bassorilievo del Sacro Cuore – erano spariti chissà dove.

«E la mia macchina da cucire?» chiese angosciato Quirino, che di lavoro faceva il sarto. «La mia Singer c'è ancora?»

«No, Quirino, nemmeno quella s'è salvata dalle ruberie!» aveva risposto in lacrime la povera Maria.

Fu una bella botta, per Quirino, venire a sapere che la sua macchina da cucire, l'attrezzo che dava da vivere a lui, alla moglie e ai suoi figli, era sparita. Rubata? Requisita? Persa? Per un istante il suo cuore smise di battere e il tremore delle mani gli salì fino al centro del petto.

Ma Quirino era avvezzo alle notizie cattive, aveva la pelle dura lui. Ripulì a dovere la sua casa, recuperò alcuni materassi, qualche vecchio mobile e coi pochi soldi risparmiati riuscì a comprare viveri, un po' di piatti, posateria e pentolame.

Adesso potevano sopravvivere, ma il sarto voleva con tutte le sue forze tornare a anche a vivere. E gli venne un'idea molto semplice: se la gente di Vermiglio e della Val di Sole non poteva venire a casa sua a ordinare vestiti nuovi o a far adattare quelli vecchi, sarebbe stato lui ad andare da loro, a lavorare presso quelle famiglie che una macchina da cucire la possedevano. E cominciò il giro della valle.

Fucine, Cusiano, Ossana, Termenago, Mezzana, Piano, Mestriago, Mastellina, Dimaro… là dove c'era bisogno di un buon sarto ecco arrivare Quirino con la sua borsa in cui aveva raccolto aghi, spilli, nastri da sarto, ditali, forbici, gessi, righelli, un rotolo di cartamodelli…

Quirino si fermava nelle famiglie per tre, quattro, anche cinque giorni, quel che serviva per tagliare e cucire qualche vestito, i grembiuli per tutte le donne di casa, i mutandoni per il nonno, una camicia nuova per il capofamiglia: all'ultimo giorno si faceva pagare e dopo una fugace visita alla sua Maria a Vermiglio correva presso un nuovo focolare e lì il lavoro ricominciava.

Finché il lunedì 14 aprile 1919 fu chiamato per un'intera settimana dalla famiglia di Vittore e Domenica Redolfi di Mezzana. Fu proprio lì che avvenne la scoperta.

«…e questa è la cucina» gli disse Domenica finendo di mostrargli la casa in cui il sarto avrebbe lavorato per una settimana. «Però è nella stube che abbiamo messo le stoffe da tagliare e la nostra macchina per cucirle. Eccola là, sotto la finestra!»

Quirino appoggiò la borsa per terra, si sedette e… il cuore ebbe un sobbalzo! Lì, davanti a lui, non c'era una normale macchina da cucire, non c'era una Singer lustra e pronta a partire per cento orli e altrettante asole. Lì c'era la "sua" Singer, quella che aveva comprato anni prima a Cles risparmiando fino all'ultima goccia di sangue, la Singer che qualcuno gli aveva rubato mentre pagava lo scotto della guerra a Katzenau!

Inghiottì a fatica un fiotto di lacrime, tirò su col naso e respirò a fondo, dopo di che aprì la borsa e cominciò lavorare. Si tuffò quindi nella sua settimana di passione e continuò a lavorare fino al primo pomeriggio del venerdì senza pronunciare una sola parola se non "buongiorno", "buonasera" e "grazie" quando Domenica gli portava qualcosa da mangiare.

Ma quel Venerdì Santo, al momento di essere pagato, non riuscì a tacere. Mentre Vittore stava facendo il conto su un foglio di carta e Domenica rimirava la nuova gonna di cotone a piegoline, Quirino parlò: «Devo dirti una cosa, Vittore…»

«Dimmi Quirino, ti ascolto» rispose l'altro alzando gli occhi dal foglio.

«Tu sai vero che, quando sono tornato dalla guerra, nella casa di Vermiglio non ho più trovato la mia macchina da cucire?»

«Certo, lo sanno tutti in valle!»

«Bene: la Singer con la quale ho lavorato qui da voi da lunedì a oggi… quella è la "mia" macchina da cucire!»

Un silenzio di piombo cadde nella stanza: Vittore spalancò gli occhi e Domenica lo guardò stupito. Fu suo marito a riprendersi per primo: «Ma ti assicuro che noi… che l'abbiamo comprata dal sensale, da Martino il lombardo… Da qualche parte devo avere anche la ricevuta, adesso la cerco…»

«Vittore, no!» esclamò Domenica. «Sono sicura che Quirino sa bene che noi non diciamo bugie. Piuttosto… perché non lo facciamo contento?»

Il povero Vittore non capì subito: ci volle un breve e muto dialogo tra lui e Domenica fatto di fronti aggrottate, di sguardi ammiccanti e di smorfie con le labbra perché alla fine l'uomo capisse. «Ah sì, certo!» esclamò allegro Vittore dando una manata sulla spalla del sarto. «Ecco, facciamo così Quirino: noi ci teniamo i soldi che ti dobbiamo per il lavoro e tu…»

«E io che cosa?» chiese il sarto, preoccupato perché lui quegli sguardi strani proprio non li aveva capiti e quei soldi gli servivano per pagare il conto del mese alla Famiglia Cooperativa…

«Siamo arrivati a casa tua, Quirino» esclama Vittore tirando le briglie del ronzino e fermando il carretto in mezzo alla piazzetta di Favriano. «Aspetta che ti aiuto a scendere!»

Quando dalla porta di casa Panizza esce Maria asciugandosi le mani nel grembiule, la donna si blocca, ferma immobile come una statua: «E… quella?» balbetta senza fiato. «Quella cosa ci fa, qui?» dice indicando la Singer sul pianale del carro.

«L'abbiamo ritrovata, Maria!» singhiozza Quirino abbracciando la moglie e unendo poi all'abbraccio anche il buon Vittore. «La nostra Singer è tornata a casa! Per sempre!»

(Ringrazio la signora Annamaria Magnini, nipote di Quirino Panizza, e suo marito Guido Stanchina per avermi raccontato la storia del sarto di Vermiglio)

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