Dal Marocco, il Paese prescelto per questa edizione, il poeta Mohammed Al Achaari porta al Trento Film Festival i valori del dialogo e della democra…

Dal Maroco, il Paese prescelto per questa edizione, il poeta Mohammed Al Achaari ha portato al Trento Film Festival i valori del dialogo e della democrazia

Senza democrazia e libertà il dialogo interreligioso non può funzionare: in quest’ottica il Marocco, ponte tra Africa ed Europa, ha una grande responsabilità. Lo ripete come un mantra Mohammed Al Achaari, letterato marocchino, vincitore dell’Arabic booker prize nel 2011, ed ex ministro della cultura durante gli attentati a Casablanca del 2003. Mercoledì 1 maggio è stato ospite del 67° Trento Film Festival con un dialogo intitolato “Sulle spalle di Atlante” in compagnia del giornalista Raffaele Crocco.

Laico, Al Achaari negli anni '80 è stato incarcerato per la sua militanza progressista e durante la sua carriera politica ha avuto molti scontri con gli islamisti radicali. Ha seguito con grande interesse la recente visita di Papa Francesco in Marocco, durante la quale è stato colpito dall’esibizione di un un coro misto tra cattolici e musulmani. “Ancora una volta gli unici a non apprezzare sono stati i fondamentalisti”, fa notare con amarezza l'ex ministro. “Il mondo oggi è pregno di sangue: le religioni devono essere un mezzo di comunicazione per la pace”.

In che modo le fedi possono sostenere la convivenza e il rispetto?

“Le religioni sono sempre state in guerra; la guerra, a dirla tutta, è il loro stato naturale. Per come è cambiato il mondo, però, la religione oggi deve avere un base di convivenza e di perdono. Per far sì che il dialogo interreligioso funzioni, servono democrazia e libertà, perché dal momento che le persone si sentono libere, accettano anche che gli altri abbiano credi diversi. Le fedi monoteiste poi sono accomunate dal culto di un Dio unico: questa è una solida ragione per sentirsi unite e fungere da ponte”.

L'estremismo è un grande impedimento in quest'ottica…

“Ovviamente sì. L'estremismo si nutre di sé stesso, perché non accetta l'altro. Si basa sull'ignoranza della gente, sulle ingiustizie politiche locali e sulle ingiustizie della globalizzazione, come ad esempio avviene per l'occupazione israeliana in Palestina”.

Come è cambiato il Marocco dopo gli attacchi di Casablanca del 2003, che lei ha gestito in prima persona?

“Si è investito di più sulla sicurezza, con un controllo certosino delle organizzazioni e il rafforzamento della polizia. Si è poi cercato di rivedere la religiosità del Paese, riorganizzando il credo degli imam a partire dalla scuole: l’obiettivo rimane quello di avere un islam moderato. Per quanto riguarda il mio ministero, abbiamo finanziato la cultura e l’informazione, perché questi due aspetti portano conseguenze positive irreversibili. Abbiamo attivato case della cultura, elargito fondi a iniziative artistiche e spinto per organizzare festival che portassero apertura mentale. Questa scelta mi ha portato a delle tensioni con gli islamisti, che sono contrari alle contaminazioni virtuose”.

Il suo approccio ha avuto successo? E chi ha governato dopo di lei ha continuato sulla sua strada?

“Abbiamo fatto molto, anche perché, al di là del governo eletto, abbiamo assistito a un fiorire di fondazioni culturali. Va tenuto però conto che in Marocco la cultura intesa in senso moderno ha un grave ritardo, perché ha cominciato a svilupparsi solo alla fine degli anni '60. Questo non significa che per recuperare sia giusto premere sull'acceleratore con le tecnologie digitali: la cultura è un processo lento”.

In quanto Paese-ponte, il Marocco è un interlocutore privilegiato dell'Europa nella lotta all'immigrazione illegale. Come si pone in questo ruolo?

“Il Marocco è obbligato alla responsabilità. È in prima linea per le problematiche legate all'immigrazione – tanto che l'Unione Europea gli chiede di fare da gendarme per proteggerla – e per di più ha un legame economico molto forte con l'Europa. Dall'altra però fa parte del continente africano. Deve dialogare con entrambe le istanze. Per di più il nostro bilancio, oltre che sul turismo, conta molto sulle rimesse. In ogni famiglia allargata c’è almeno una persona che è partita per cercare fortuna all’estero. Per questo siamo molto attenti alla situazione economica dei singoli Paesi europei: quando c’è la recessione, anche i nostri conti ne risentono”.

Quale è la strada da seguire per affrontare la sfida delle migrazioni?

“Per gestire al meglio i flussi – sia quelli dei miei concittadini sia di coloro che arrivano in Marocco da altri Stati africani – è importante puntare sull’integrazione e sulla regolarizzazione: quando la migrazione viene lasciata libera, infatti, finisce inevitabilmente nelle mani dei commercianti di vite e delle mafie”.

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