Il trionfo dell’ambiguità

Il premier Conte si è ben guardato dal mettere scadenze, ha continuamente badato a dare un colpo al cerchio pentastellato ed uno alla botte leghista

Molti commentatori hanno voluto vedere nella conferenza stampa del presidente Conte un sussulto di dignità istituzionale, la presa di posizione di un premier che rivendica i suoi poteri costituzionali e mette i mora i suoi due rissosi condomini. Francamente, avendo seguito con attenzione lo spettacolo, non ci pare sia andata così. Conte ha diviso il suo intervento in tre parti sostanziali: una rivendicazione del lavoro fatto dal governo, per dimostrare quanto è stato produttivo; una messa in guardia sull’impossibilità di spingersi ad una sfida alla UE che sarebbe deleteria; un proclama sul suo rifiuto a “vivacchiare” e una richiesta di “leale collaborazione” alle due componenti del governo altrimenti se ne devono trarre le conseguenze.

Se ci si ferma alla “recita” tutto può sembrare chiaro, ma è solo comunicazione. Il perché è presto detto: Conte si è ben guardato dal mettere scadenze, ha continuamente badato a dare un colpo al cerchio pentastellato ed uno alla botte leghista, non ha indicato alcuna rotta sicura per gestire le scadenze complesse che il paese deve affrontare. Il suo continuo riferimento al “contratto” è l’indice della mancanza di respiro di questa politica, perché è proprio quel documento con le sue ambiguità unite alle sue velleità che non può essere la guida per tirare il paese fuori dalle difficoltà in cui si trova.

Il premier sottovaluta che il successo di Salvini sta proprio nella sua decisione di presentarsi come colui che decide sui problemi senza farsi ingabbiare dai riti contrattualistici inventati dagli spin doctor dei Cinque Stelle: è stato al gioco perché gli serviva per arrivare al governo, ma adesso quel gioco non lo interessa più. Non è un caso che di fatto il bersaglio polemico di Conte fosse proprio il leader della Lega (qualche leggera critica a Di Maio è stata messa lì solo per mascherare la sua scelta di campo).

Ma allora il premier ha davvero aperto la crisi di governo? Sì e no, perché la situazione è il trionfo dell’ambiguità. Non tanto perché è stata lasciata aperta una porta (retorica) al riprendere lo spirito di collaborazione. Basta stare a quel che Conte ha detto in conferenza stampa: sulla TAV ha ragione Toninelli, ma tanto la si deve fare per impegni pregressi; la flat tax così non si può fare, ma si farà una grande riforma del sistema fiscale; l’autonomia differenziata si farà ma senza creare squilibri fra Nord e Sud. Insomma si farà tutto, se tutto può essere annacquato in modo che i Cinque Stelle non perdano la faccia e Salvini non possa uscirne vincitore assoluto. Come dire: si troverà la mitica quadratura del cerchio.

Siccome quasi nessuno crede che sarà possibile, resta l’interrogativo su cosa ci si può attendere. Qui per capire bisogna mettere in fila una serie di elementi. Il primo riguarda la difficoltà di uno scioglimento anticipato della legislatura. A parte la scarsa voglia dei deputati di tornare davanti ad urne rischiose (vale soprattutto per M5S), c’è un problema di tempistiche: bisognerebbe votare entro settembre per via della legge di bilancio da fare, ma ciò significa organizzarsi fra agosto e settembre, mesi poco adatti per guadagnare l’attenzione della gente. Anche continuare col governo attuale che vivacchia è complicato, perché significa intestarsi una legge di bilancio che dovrà mostrare chiaramente agli italiani che non siamo messi bene, cosa che non conviene né a Salvini, né a Di Maio. Ma rompere con questo governo per metterne insieme un altro è praticamente impossibile se si pensa ad una maggioranza politica, difficilissimo se si pensa ad un governo “tecnico” che però comunque dovrebbe essere sostenuto dal voto parlamentare.

In mezzo c’è il problema del rapporto con la UE, il cui iter non è così lineare come viene detto. La Commissione non ha il potere di infliggere sanzioni per debito eccessivo, può solo segnalare il problema al Consiglio dei ministri economici dei 28 paesi membri (Ecofin) che si riunirà il 9 luglio. Poiché questi sono “braccia” dei governi nazionali, che al momento sono impegnati a ragionare sulla distribuzione delle cariche nella futura Commissione, è probabile che magari mettano giù parole dure (il che avrebbe effetti pesanti sui mercati), ma che pospongano decisioni più ultimative.

Anche per gestire questo lungo iter ci sarebbe bisogno di un governo stabile, ma è impossibile che si concretizzi nella delega in bianco al duo Conte-Tria per le trattative con la UE come il premier ha richiesto. Insomma navigheremo ancora per un periodo, temiamo nemmeno tanto breve, nelle nebbie dell’ambiguità della nostra situazione politica.

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